Intelligenza artificiale

Se ne parla sempre, ovunque. E comunque non abbastanza, non nelle sedi giuste. E la gente ha le idee confuse. 

Oggi ormai anche il frullatore è interconnesso e gestito (dicono) dall’intelligenza artificiale, spesso abbreviata in IA, all’italiana, o in AI, all’inglese.

E se ne parla spesso a sproposito. 

In queste brevi note vorrei tentare di spiegare cos’è la IA e cosa non è.

(Quando ho iniziato a scrivere l’intenzione era di buttar giù poche idee sintetiche. Ma poi l’entusiamo mi ha preso la mano….)

Nel caso tragico dei recenti incidenti aerei che hanno visto coinvolti due aeromobili 737Max si è parlato di automatismi fuori controllo, di software troppo complessi, di sistemi che richiedono conoscenze informatiche di alto livello per essere pilotati. Si è scomodato persino il pres.Trump affermando che “Gli aerei di oggi sono troppo complessi. Non voglio che a guidarli sia Einstein“, perdendo ancora un’ottima occasione per stare zitto. 

Gli automatismi degli aerei non sono troppo complessi. Non si tratta di un unico software che governa tutto l’aereo, ma di tanti moduli separati, spesso fisicamente confinati in computer separati, ognuno per un compito specifico. 

E ognuno di questi computer facilita il lavoro del pilota, tanto che il numero dei membri di equipaggio in cabina è passato da quattro a due. Nei tempi andati, quando si doveva fare tutto a mano, oltre ai due piloti erano presenti in cabina, soprattutto sui grandi aerei nei voli transoceanici, l’ingegnere di volo ed il navigatore. I loro compiti sono stati adesso sostituiti da sistemi elettronici che gestiscono autonomamente i motori, il condizionamento, la navigazione. 

Questi sistemi automatici hanno una caratteristica precisa, non sono “intelligenti”, nel senso che svolgono un lavoro preciso in un modo prevedibile, matematico, logico. Si pensi ad esempio al sistema FADEC di controllo dei motori:

electronic engine control aircraft Best of Schematic of a jet engine Fadec control system

 

Il sistema si limita a ricevere dal pilota la richiesta di potenza dalla manetta. E pensa a tutto il resto, regolando i vari attuatori per ottenere la potenza richiesta. Ogni attuatore viene regolato in base ad una legge matematica, il comportamento del sistema è, in qualche modo, meccanico e totalmente prevedibile. L’intelligenza, in tutto questo, è rischiesta solo in fase di progettazione. Ma il sistema di controllo non è intelligente.

Forse dovremmo fermarci un attimo a tentar di definire cosa intendiamo per intelligenza.  Pensiamo al nostro cervello umano, simile a quello di tanti mammiferi. Nasciamo sostanzialmente incapaci di eseguire qualsiasi compito che non sia quello di succhiare il latte dalla mammella o dal biberon. Tutto il resto lo impariamo, seguendo l’esempio dei nostri genitori, accumulando informazioni. L’intelligenza consiste nel saper risolvere problemi in base all’esperienza accumulata. 

I sistemi di controllo automatico non fanno niente del genere, non accumulano informazioni. Si limitano ad applicare equazioni matematiche stabilite dal progettista. Per ottenere una certa potenza richiesta leggono i sensori di temperatura, pressione, velocità, applicano certe equazioni, regolano l’apertura e la chiusura di certe valvole. Punto. E, soprattutto, quando escono dalle linee di produzione hanno già nel loro software tutte le informazioni che servono, ossia tutta l’intelligenza del loro progettista. E, soprattutto, non fanno niente che il progettista non sappia fare. Magari lo fanno molto più velocemente, questo si. Un po’ come una calcolatrice, che sa fare gli stessi calcoli che sanno fare i progettisti. Solo che li fa molto più velocemente. 

Un passo avanti rispetto ai meccanismi “stupidi” di regolazione sono i sistemi ad autoapprendimento. Si pensi ad un regolatore di temperatura, il termostato di casa nostra. Il suo algoritmo è elementare: quando la temperatura è inferiore a quella desiderata, un relè accende la caldaia. Quando la temperatura sale e supera quella desiderata, los tesso relé spegne la caldaia. Questo è un meccanismo un po’ rudimentale, che crea un andamento ondulatorio della temperatura, un po’ sopra e un po’ sotto rispetto alla temperatura desiderata. A questo si aggiunga che quando il termostato spegne la caldaia, i termosifoni restano caldi per un po’, e continuano a scaldare l’ambiente ancora per un po’. Analogamente, quando il relè accende la caldaia, i termosifoni ci mettono un po’ di tempo prima di andare in temperatura. E quindi il riscaldamento interviene in ritardo, rispetto al necessario. Una “imperfezione” simile nelle nostre case non crea alcun danno, non importa a nessuno se la temperatura oscila di mezzo grado o di un grado. Ma nei processi industriali un simile errore è spesso inammissibile, servono regolatori molto più precisi. E’ possibile allora sfruttare le funzioni di “autoapprendimento”. Per fare questo si lancia il processo di autoapprendimento. Il regolatore effettua dei cicli di prova e memorizza la risposta del sistema. Potrà in questo modo calcolare l’inerzia termica, e aprire e chiudere in anticipo le valvole dell’acqua calda o fredda in modo da minimizzare le oscillazioni di temperatura in un range molto ristretto.  Possiamo parlare in questo caso di “intelligenza”? No, anche se i depliant pubblicitari li descrivono come “controllori intelligenti”. Anche in questo caso l’intelligenza è quella del progettista, che programma una sequenza di autoapprendimento molto rigida e molto prevedibile. Il regolatore esce di fabbrica già pronto ad effettuare il suo ciclo di autoapprendimento per calcolare i parametri di risposta del sistema. 

I sistemi di controllo che abbiamo visto fino ad ora, semplici o complessi che siano, seguono in ogni caso una logica del tipo IF-THEN-ELSE (in italiano SE-ALLORA-ALTRIMENTI). Vediamo il caso del termoregolatore semplice, la logica sarebbe questa:
IF (“temperatura attuale” minore di “temperatura desiderata”) THEN
        accendi la caldaia
ELSE
       spegni la caldaia

Anche il regolatore più furbo ragiona nello stesso modo, solo che impara a giocare d’anticipo.

Passiamo ora a sistemi che siano davvero intelligenti. Proviamo a definire cosa significa “davvero intelligenti”. Devono saper fare qualcosa che il progettista non sa fare, in un modo che il progettista non sa prevedere. Il primo esempio che mi viene in mente è AlphaGo, il software sviluppato da Google per giocare al gioco del Go, con la speranza di vincere i migliori campioni di questo gioco. Speranza rivelatasi fondata in quanto AlphaGo ha vinto per 5 a 0, nel 2015, contro il campione europeo Fan Hui e poi per 4 a 1, nel marzo 2016 contro il campione coreano Lee Sedol

Cosa rende speciale AlphaGo rispetto ai sistemi che abbiamo visto in precedenza? Il fatto che AlphaGo ha imparato letteralmente a giocare studiando migliaia di partite di Go giocate in precedenza dai grandi campioni. Nel software di AlphaGo non sono state inserite le regole del Go, non è stato creato un algoritmo del tipo IF-THEN-ELSE, non è stata inserita nessuna regola del tipo “se il tuo avversario gioca questa mossa, tu rispondi con quest’altra”. Tutto si è svolto “semplicemente” sottoponendo ad AlphaGo migliaia e migliaia di partite. Studiando le partite AlphaGo ha imparato a giocare, e a vincere. La cosa particolare, rispetto al passato, è che i progettisti di AlphaGo non sono in grado di prevedere quale sarà la prossima mossa giocata dal computer, perché non sono stati loro a progammare gli algoritmi. Loro si sono limitati a programmare un sistema in grado di imparare. Il resto l’ha fatto AlphaGo, da solo. E’ chiaro che AlphaGo è stato pensato, ottimizzato e addestrato proprio per quel tipo di compito. 

Messa in maniera molto rudimentale, una IA altro non è che un tentativo di replica della nostra struttura cerebrale, in cui reti neurali elettroniche cercano di simulare, in modo per ora piuttosto rozzo, le nostre sinapsi. 

Le reti neurali nascono vergini e vengono addestrate, con un meccanismo che si chiama Machine Learning e  Deep Learning. L’addestramento consiste nel mostrare alla IA le situazioni che deve imparare a riconoscere e gestire. Un esempio classico è quello dei riconoscimento di immagini. Alla IA vengono mostrate quantità immense di foto contententi ciò che la IA deve imparare a riconoscere. Nelle reti neurali si formano delle connessioni tanto che alla fine la IA è in grado di di riconoscere anche immagini che non ha mai visto, per analogia a quelle già viste. Se ad esempio addestriamo una IA mostrandogli migliaia di foto di cani di ogni tipo, questa sarà in grado di riconoscere un cane specifico anche se non è mai apparso in nessuna delle foto viste, per analogia. 

Il riconoscimento di immagini è una delle componenti fondamentali delle autovetture a guida autonoma. Un primo modulo software usa le telecamere dell’auto per riconoscere tutti gli oggetti che la circondano: auto, camion, ciclisti, pedoni, segnali stradali, marciapiedi, ostacoli.  In questo video si può vedere una Tesla che guida in modo autonomo. Nelle tre immagini sulla destra si vede l’immagine catturata dalle tre telecamere e l’elaborazione della AI che si occupa del riconoscimento automatico degli oggetti che potrebbero interferire con la guida. 
Un altro modulo software esamina gli oggetti riconosciuti dal primo modulo ed elabora le strategie necessarie per la guida. Entrambi i moduli sono applicazioni di AI, il primo orientato al riconoscimento di immagini, il secondo alla elaborazione delle strategie di guida. Il primo viene addestrato con migliaia di immagini. Il secondo viene invece addestrato facendo inizialmente da “passeggero” mentre guidano autisti umani. La IA “guarda” il comportamento dell’autista e impara. 

Un altro esempio di applicazione della IA è la gestione automatica delle attività ripetitive. La società LoopAI, americana ma fondata da un italiano, crea sistemi in grado di gestire dati strutturati (schedari, database) e non strutturati (foto, audio, moduli scritti a mano) e crea macchine in grado di sostituire l’uomo per fare quei compiti d’ufficio ripetitivi, quali ad esempio il processo per la liquidazione delle pratiche assicurative. La macchina studia tutte le pratiche passate, in cui impiegati analizzano documenti di ogni tipo per capire se una certa pratica assicurativa va liquidata o è una truffa. Dopo un certo tempo di addestramento (settimane) la macchina è in grado di liquidare in pochi minuti (18 minuti) il lavoro che viene normalmente fatto da esseri umani in due anni di lavoro. Questo video spiega molto bene il processo e le sue prospettive.

Un campo in cui la IA sta trovando grandi applicazioni è quello del supporto decisionale ai medici. Il sistema IBM Watson, in passato (2011) usato per giocare e vincere al gioco televisivo Jepoardy! (dal quale è stato tratto l’italiano Rischiatutto). Watson è un computer in grado di capire e rispondere usando il linguaggio naturale, al punto di capire le domande molto criptiche che vengono usate nel gioco Jeopardy!. Oggi Watson viene usato per compiti molto più seri che si spingono fino alla assistenza ai processi diagnostici dei medici. 

Uno dei campi in cui la IA è più utilizzata è il supporto all’analisi della diagnostica per immagini. Ancora una volta alla IA è stato dato in pasto un gran numero di immagini diagnostiche (ecografie, radiografie, TAC, RM) con le relative diagnosi espresse dai medici. Alla fine dell’addestramento la IA è stata in grado di continuare in autonomia, emettendo diagnosi a fronte di una serie di immagini del paziente. 

Tuttti questi sistemi non vanno (per il momento) a sostituire il medico. Sono invece intesi come un ausilio, un aiuto, un supporto. Sarà sempre (per il momento) il medico a confermare o correggere la diagnosi della IA.  Sistemi di questo tipo si stanno sperimentando ovunque nel mondo, anche a casa nostra, all’ospedale di Vimercate.

Il vero punto di svolta dei sistemi AI è che sono automatismi che iniziano in qualche modo ad agire fuori dal nostro strettissimo controllo. Come dicevo prima, i sistemi di automazione classici sono totalmente conosciuti e prevedibili. Conoscendo i dati di ingresso se ne conoscono le azioni di uscita, matematicamente. Quando un sistema di automazione non fa quel che ci si aspetta questo dipende esclusivamente da un errore di progettazione o da un guasto.

I sistemi IA invece si comportano grosso modo come un animale addestrato. Se anche l’addestramento è perfetto, se anche l’animale reagisce come ci aspettiamo, noi non sappiamo davvero cosa succede nella sua testa, non sappiamo esattamente quali sinapsi si attivano, quali circuiti intervengono. Conosciamo, grosso modo, il sistema nel suo complesso. Ma non sappiamo in che modo le informazioni di addestramento sono state metabolizzate. Come dire che non abbiamo la certezza matematica che ad un certo input corrisponda un certo output. 

Questa non è una cosa che ci deve spaventare, così come non ci spaventano il nostro cane o il nostro cavallo. Se li abbiamo addestrati bene abbiamo la ragionevole certezza di saper prevedere quali saranno le sue reazioni. Nel caso di una IA questa certezza è maggiore, perché non ci sono reazioni istintive che possano interferire. Un cane, un cavallo, possono spaventarsi, eccitarsi, adirarsi. E queste reazioni possono interferire con il comportamento atteso. Nel caso della IA queste reazioni semplicemente non esistono. 
Il vero problema è che l’addestramento potrebbe non essere sufficiente, e la IA potrebbe trovarsi in una situazione in qualche modo nuova, che potrebbe gestire in modo errato. Qualcuno forse ricorda l’incidente occorso ad una Tesla in cui il pilota automatico, gestito da una IA, confuse il colore chiaro di un rimorchio con il cielo, e andò a sbattere uccidendo il proprietario. 
C’è da dire che il proprietario aveva inserito la guida automatica e non aveva fatto il suo dovere di supervisione. Viene infatti chiaramente detto che le capacità di guida autonoma di una Tesla devono servire da supporto al guidatore, che deve comunque sempre restare vigile, pronto ad intervenire nel caso in cui l’autopilot dovesse prendere lucciole per lanterne. E’ la stessa cosa che fanno i piloti d’aereo, che attivano il pilota automatico ma non perdono mai di vista gli strumenti e controllano sempre che l’autopilota faccia il suo dovere. 

Questo è qualcosa che dovremmo sempre ricordare, prima di affidare le nostre vite ad una IA. La supervisione umana è insostituibile, proprio perché la IA non è un automatismo totalmente prevedibile. Potrebbe sempre sbagliare. Paradossalmente è proprio il tentativo di riprodurre nella IA alcuni meccanismi del ragionamento dei cervelli animali che rende il loro comportamento in parte imprevedibile. 
E’ per questo che si continua a sottolineare il fatto che i sistemi IA devono servire da supporto alle decisioni umane e non devono in alcun modo sostituirsi agli esseri umani. Una IA potrà essere diabolicamente abile a diagnosticare malattie partendo da sintomi, anamnesi e risultanze di laboratorio. Ma sarà sempre il medico a supervisionare il lavoro della IA e a esprimere il giudizio finale. Così, per lo meno, dovrebbe essere. 
Il rischio è ovvio, l’uomo potrebbe pigramente abituarsi a prendere per buone le decisioni delle IA. 

I rischi e le paure.

Siamo appena all’inizio di questa era, molto ma molto lontani da quella che viene definita AGI (Artificial General Intelligence), in italiano Intelligenza Artificiale Forte, ossia una IA che possa emulare il cervello umano occupandosi di qualsiasi compito con la stessa efficacia con cui oggi le IA “deboli” si occupano solo di compiti specifici. 

Questa prospettiva spaventa molti, perché ricorda da vicino il mito di Frankenstein, che si ribella al suo creatore. Forse, ancora prima, il mito di Prometeo che si ribella a Giove. La letteratura ed il cinema, soprattutto quelli di fantascienza, sono pieni di storie (vedi 2001 odissea nello spazio) in cui le IA, in varie forme, si ribellano ai loro creatori e fanno di tutto per distruggerli. 

Siamo ancora molto lontani da una vera AGI, posto che ci arriveremo mai.  Molto interessante a questo proposito è il libro Superintelligence di Nick Bostrom che riflette molto sulle possibilità e le possibili conseguenze dell’avvento di una AGI. Se ben ricordo lui dice “probabilmente non succederà, ma se dovesse succedere che una IA raggiunga il livello di AGI, correremmo il rischio non accorgercene fino a quando non sarà troppo tardi”. 

A mio parere, il vero rischio dell’avvento delle IA, anche di quelle “mediocri” dei nostri giorni, è che vadano pian piano ad occupare molti dei nostri posti di lavoro.  Gli ottimisti dicono che è sempre stato così, che l’uomo ha sempre avuto paura delle novità tecnologiche, fin dal tempo dei luddisti che nel XIX secolo sabotavano i primi telai meccanici. Ed è sempre successo che le novità tecnologiche (il vapore, l’elettricità, il motore a scoppio) finivano per dare un notevole impulso all’economia aumentando a dismisura i posti di lavoro. Dicono, gli ottimisti, che sarà lo stesso per l’automazione e per l’applicazione delle IA. 

I pessimisti, invece, pensano che l’automazione, soprattutto con l’avvento delle IA, potrà sostiture l’uomo in tutte le posizioni lavorative intermedie, lasciando liberi solo i lavori meno qualificati (pulizie, manovalanza) e quelli più qualificati (management, ricerca scientifica). E’ facile vedere come, in effetti, le fabbriche oggi siano sempre più diventando “black factories” ossia “fabbriche a luci spente” in cui macchinari completamente automatici provvederanno alla produzione dei nostri beni di consumo e in cui la presenza degli umani sarà marginale. 
Nel settore impiegatizio succederà lo stesso, mille forme di IA provvederanno a sostituire man mano l’uomo nelle operazioni d’ufficio più ripetitive. Pochi esseri umani basteranno a sovraintendere e controllare il lavoro di pochi potenti computer in cui una IA farà in pochi minuti il lavoro che prima richiedeva migliaia di ore umane.  

Non so dire se abbiano ragione gli ottimisti o i pessimisti. So solo che un tema del genere dovrebbe essere al centro delle discussioni politiche attuali. Invece pare sia ancora ai margini, relegato in congressi specialistici. 

 

Mussolini ha fatto anche cose buone

Lo sentiamo ripetere sempre. Mi pare addirittura che da qualche tempo questo mantra stia riprendendo vigore. 

Giunge a proposito un libretto velocissimo di Francesco Filippi:  Mussolini ha fatto anche cose buone: Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo di cui raccomando a tutti la lettura, soprattutto a chi è convinto che il ventennio sia stato una specie di età dell’oro. 

Si legge in un batter d’occhio e libera il campo dai luoghi comuni sui “miracoli” del fascismo. 

Non è mia intenzione rubare il lavoro a Filippi, ma due o tre cosuccie le voglio sintetizzare in questo post.  Non c’è niente di nuovo o di strabiliante. Sono cose che chi vuole può trovare facilmente, e Filippi fa a tal proposito un ottimo lavoro di bibliografia, 

Il Duce ha dato la pensione agli italiani?

Il primo sistema pensionistico fu introdotto in Germania da Bismark, nel 1888. La sua iniziativa fu man mano introdotta dagli altri paesi dell’Europa industriale. In Italia fu Crispi, nel 1895, ad introdurre i trattamenti pensionistici per impiegati pubblici e militari. Poi, nel 1898, il governo Pelloux estese la copertura ad altre categorie di lavoratori e fondò la “Cassa nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai”. Le lotte operaie degli anni successivi ottennero di estendere le protezioni alle maggiori categorie di lavoratori. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, altre riforme introdussero altre protezioni e l’adesione delle aziende alla “Cassa” divenne obbligatorio. 
E allora il Duce cosa c’entra? Molto poco in realtà. Accentrò tutto sotto il controllo dello stato, cambiò nome alla Cassa trasformandola in “Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale”, assunse un numero spropositato di impiegati, tutti di estrazione fascista, giungendo ad avere la bellezza di 8000 impiegati, un’enormità rispetto ai tempi. L’INFPS inaugurò il periodo in cui bastava dimostrare di essere fascista della prima ora (legge 782 del 1939) per avere diritto ad essere assunto dalla pubblica amministrazione. Questo scatenò la caccia ad improbabili patentini di “squadrista doc”. 

Il Duce ha dato la 13ma agli italiani?

Mica tanto. La gratifica natalizia era già abitudine, se pur informale, in molti paesi europei, Francia e Germania in testa. Il Duce la lasciò per lungo tempo alla scelta volontaria degli impenditori. Fu solo nel 1937 che venne inserita in una norma di legge riguardante il contratto collettivo dei lavoratori dell’Industria. Ma….. bilanciata dallo straordinario obbligatorio che poteva estendere l’orario di lavoro fino a 12 ore. I lavoratori non potevano rifiutare gli straordinari, il lavoro festivo e quello notturno.  

Il Duce ha bonificato le paludi?

Forse un po’. Ma non ha inventato niente. Furono già i romani ad affrontare questo problema. Poi il papato, nel Quattrocento. Poi il Regno d’Italia, con una legge ad hoc nel 1878 e più avanti nel 1905 e nel 1922. Nessuno di questi interventi fu però risolutivo. Il Duce ebbe il merito di coordinare gli sforzi e di fare una serie di leggi che stanziavano ficre iperboliche, soprattutto nel futuro. Ma i risultati furono molto inferiori alle attese. Cominciò nel 1923 promettendo di recuperare all’uso agricolo 8 milioni di ettari. Dopo 10 anni dichiarò trionfante di averne recuperati 4 milioni, ma un’analisi più approfondita dimostra che si trattava in realtà di 2 milioni di ettari di cui 1,5 milioni erano il risultato degli interventi già avviati in epoca prefascista. Risultato netto dello sforzo: 0.5 milioni di ettari sugli 8 promessi. Non molto, a dire il vero. 

E l’elenco continua, ma non vi voglio togliere il piacere di leggere il libro di Francesco Filippi. Mi limito ad elencare gli argomenti:

  • Edilizia popolare
  • Urbanistica e trasporti
  • Gestione delle emergenze
  • Giustizia e legalità
  • Sconfitta della mafia
  • Economia
  • IRI
  • Condizione femminile

Per ognuno di questi punti Filippi dimostra quanto i presunti meriti del Duce siano in realtà privi di consistenza e frutto di abile comunicazione mediatica. 

 

 

25 aprile

E’ appena passato il 25 aprile, eterna fonte di polemiche in questo nostro paese sempre diviso in due parti.  Almeno in due parti.

Tempo fa forse avrei potuto dire “diviso a metà”. E, anzi, ricordo tempi in cui la torta era divisa in modo diverso, e la giornata del 25 aprile mobilitava folle ed emozioni in proporzioni decisamente diverse.

Oggi ho l’impressione che le proporzioni siano cambiate, e che sia prevalente un senso di disinteresse, di stanchezza, di noia. Cheppalle il 25 aprile!

No, non la penso così. Resto dell’idea che non si debba dimenticare.

C’è chi dice “basta con questa divisione fra fascisti e antifascisti! Sono cose passate, bisogna guardare avanti, superare questa divisione”. E sarebbe come dire che occorre perdere la memoria, dimenticare la storia. 

Per inciso, c’è anche chi dice la stessa cosa per la giornata della memoria. Dicono, anche in questo caso, che si tratta di fatti ormai passati.

No, non si deve dimenticare. Non si devono dimenticare i campi di concentramento e non si deve dimenticare il giorno in cui finalmente siamo usciti da un’epoca buia.

Lo so, lo so. Ci son quelli che dicono che l’epoca del fascismo non era poi così buia. E che Mussolini “ha fatto anche cose buone”. E via con l’elenco delle “cose buone del fascismo”: le pensioni, la tredicesima, le bonifiche e via elencando luoghi comuni per lo pù infondati. 

Sulle “cose buone del fascismo” si può discutere a lungo, e chi vuole può leggere in questo post qualcosa a riguardo. Ma prima mi preme sottolineare un punto sul quale comunque non ci può essere discussione, sono fatti incontrovertibili.

Il fascismo era una dittatura illiberale. Censura sulla stampa, sull’informazione. Divieto di manifestazione, di associazione. Estromissione dalle funzioni pubbliche di chiunque non fosse iscritto al partito. Persecuzione fisica degli oppositori e degli ebrei. Impossibilità di scegliere i propri rappresentanti ed amministratori a qualsiasi livello. Molti di coloro che oggi guardano con nostalgia a quel periodo oggi sarebbero i primi a finire sotto il maglio della repressione. Usano oggi una libertà di critica che a quel tempo avrebbe significato carcere e persecuzioni di ogni tipo. 

Ma, dicono, la rinuncia alle libertà borghesi era un prezzo ben misero rispetto ai grandi vantaggi che il fascismo offriva ai cittadini. E, a sostegno di questa affermazione, ripetono a memoria l’elenco delle cose buone del fascismo. 

Ma vale davvero la pena di svendere la propria libertà per una lista di vantaggi materiali? 

Si, lo so, vi sento obiettare che mai come sotto il fascimo l’Italia era rispettata, studiata, ammirata in tutto il mondo. E gli italiani erano, solo allora, orgogliosi di essere italiani. Facile rispondere che molto dipendeva dall’abile gestione dei processi di comunicazione. Il governo controllava in modo rigoroso la macchina della comunicazione e del consenso, fornendo anche all’estero l’immagine di una nazione forte, organizzata, produttiva. Quanto di quest’immagine fosse reale e quanto frutto invece di una abile orchestrazione mediatica è compito su cui si sono cimentati gli storici di ogni tendenza.

Resta il fatto che repressione, carcere e persecuzioni non erano un’opinione. Erano la realtà di ogni giorno per chi voleva esprimere il proprio parere fuori dal coro. O, banalmente, per chi aveva subito il fato di nascere ebreo. 

E, soprattutto, le sorti della nazione erano nelle mani di una persona sola. Questo succedeva in Italia, in Germania, in Russia e nei satelliti dell’Est. E in tutti questi posti il tributo di sangue, di reperessione e di persecuzione è stato terribile.

Questo vuol dire 25 aprile. Vuol dire ricordare che la libertà è, come ha detto giustamente il PdR Mattarella, un bene assoluto. Svendere la propria libertà in cambio di vane promesse di stabilità e benessere significa preparare la strada a persecuzioni, repressioni, discriminazioni e sofferenze. E’ questa mia una affermazione arbitraria? No, onestamente penso di no. Chi pensa il contrario mi faccia il nome di una dittatura che non sia finita nel sangue, che non abbia oppresso e perseguitato proprio quel popolo che pretendeva di difendere. Nessuna dittatura di quelle passate, alla resa dei conti, può superare questo semplice filtro. Tutte hanno limitato le libertà personali, hanno perseguitato, incarcerato, ucciso gli oppositori e non solo quelli. Partite, forse, con buone intenzioni, sono tutte finite in un bagno di sangue. Tutte, qualunque fosse la matrice politica iniziale.

Le democrazie sono imperfette. Il potere economico le condiziona pesantemente, la corruzione le devasta. L’inefficienza le inchioda pesantemente a terra, rendendo difficile il lavoro di chi vorrebbe produrre ricchezza per se e per gli altri. 

Ma viviamo in un mondo imperfetto, specchio di noi esseri umani schiavi delle nostre egoistiche pulsioni. La democrazia è il miglior antidoto a queste imperfezioni. Un antidoto imperfetto, ma la storia dell’uomo, soprattutto quella recente, non registra esperienze riuscite che non siano finite nel dolore sangue. 

Nella democrazia, per quanto imperfetta, ci scegliamo in qualche modo i nostri rappresentanti. Li votiamo. Certo, i centri di potere fanno di tutto per piegare la democrazia, per snaturarla, per condizionarla. Ci impongono candidati che non ci piacciono. Liste bloccate, candidati paracadutati. Quelli che da qualche tempo vengono chiamati “poteri forti” (i poteri o sono forti o non vale la pena di citarli) fanno di tutto per piegare le democrazie ai loro interessi. Ovvio. Ma quale sarebbe, allora, l’alternativa?

Oggi, aprile 2019, vedo molti invocare l’arrivo dell’uomo forte, dell’uomo della provvidenza, di colui con con mano ferma sappia prendere il timone e portare il nostro paese verso un luminoso futuro. E invocano Salvini a piena voce, come i loro padri e nonni invocavano il nome del duce. 

Ma chi sceglie l’uomo forte? E con quale meccanismo? Mussolini, tanto per restare in Italia, è stato scelto dalla democrazia. Da quel poco di storia che ricordo, è arrivato in parlamento nel maggio 1921 . Discorso analogo per Hitler, che entrò nel  Reichstag nel 1930. 

Ma oggi, 25 aprile 2019, quale sarebbe la proposta politica di coloro che hanno in odio la democrazia e che invocano l’arrivo di un dittatore? Come propongono di effettuare la selezione? Vinca il più forte? Si veda al proposito come Stalin, il più forte, vinse la lotta per il potere contro  Trockij, Zinov’ev, Kamenev e Bucharin. E si valutino le conseguenze di questa vittoria del più forte.

Signori, la democrazia vi fa schifo, sognate che qualcuno (non certo voi, che preferite le calde poltrone) entri in parlamento con la forza e mandi all’altro mondo qualche parlamentare a casa. Ma cosa proponete in concreto, in alternativa a questa imperfetta democrazia?

Il 25 aprile questo è: la memoria di un periodo in cui, in Italia e altrove, la demorazia era stata offuscata e vilipesa di chi aveva preso il potere con la forza, con la forza aveva ridotto al silenzio e poi eliminato chiunque dissentisse dal pensiero unico. E con la forza aveva portato la nazione alla rovina.

Oggi protestate contro questo stanco 25 aprile.  Ma se lo potete fare è solo perché un 25 aprile c’è stato. 

Dimenticavo:

Molti vivono con fastidio questa data perché “de sinistra”. Ma è una scusa miserabile. Il 25 aprile è la festa dell’uscita da un tunnel di disperazione. E la festeggiano tutti, per lo meno quelli che non hanno nostalgie fasciste. Loro avrebbero probabilmente preferito che l’esito della guerra fosse stato un altro. Si mettano l’animo in pace.  Oppure attendano che l’oblio dilagante, l’ignoranza, la perdita del senso della storia, finiscano per svuotare questa ricorrenza. Quanti dei nostri giovani sanno, almeno per sommi capi, cos’è successo 74 anni fa?

Poi ci sono le sterili polemiche sul fatto che i partigiani si siano addossati il merito di una guerra vinta da altri, che il loro contributo alla disfatta di fascisti e nazisti sia stato irrilevante. E che a causa loro siano stati uccisi dai nazifasi numerosi civili innocenti. La storia si divide nella valutazione di alcune azioni violente nei confronti dei nazisti, le valutazioni non sono univoche e chissà se si arriverà mai ad un bilancio sereno. Certo è strano pensare di restarsene buonini buonini a casa mentre un esercito occupante mette a ferro e fuoco il nostro paese, razziando e uccidendo. Ci saranno state, certo, strategie politiche in tutto questo, in vista della spartizione del potere dopo la fine della guerra. Ma resta il fatto che non so quanti di quelli che oggi danno fiato alle trombe contro il 25 aprile sarebbero rimasti buoni e calmi a vedere i nazisti  e i fascisti spadroneggiare ancora con violenza e brutalità. O forse si, forse sarebbero rimasti rintanati in casa come topi. O, magari, sarebbero stati loro dalla parte dei fascisti. 

E infine, il 25 aprile non è il Santo Graal, non è la reliquia che guarisce tutti i mali. I cretini ci sono sempre anche quel giorno. I cretini che fischiano i partigiani ebrei, quelli che (è successo!) fischiano la Moratti e suo padre in carrozzella. Ci sono i cretini che si sentono padroni ed unici eredi del 25 aprile. Questo nulla toglie al significato di questa data. 

 

 

 

 

 

 

dr.Andrea Randazzo

E Andrea si è laureato!
La cosa è successa il 20 novembre 2018, a Milano, accademia di Brera, Sala Napoleonica.

 

E poi, il giorno dopo, la cena con gli amici:

Caldaia Vailant OutsideMag, errori F27, F33, F63

18 nov 2018
A casa di mia madre l’acqua calda ed il riscaldamento sono centralizzati. Una spesa assurda, a causa dell’impianto vecchio e molto inefficiente. Ho pensato di staccarmi dall’impianto centrale e di installare una caldaia che servisse sia per il riscaldamento che per l’acqua calda, ma per mille motivi, primo fra tutti l’assenza di una canna fumaria, ho dovuto rinunciare all’idea di staccarmi dal riscaldamento centrale.  Però l’idraulico mi ha detto che avrei potuto installare uno scaldabagno esterno, anche senza canna fumaria. La sua scelta è caduta sullo scaldabagno esterno Vailant Outsidemag

Bello e funzionale, per i primi tre anni. 

Poi, come per tutti i matrimoni, sono iniziati i primi problemi. Niente acqua calda per la doccia. Il display del pannellino di comando visualizza Errore F33, caldaia bloccata. Accendo, spengo, stacco l’alimentazione. Niente da fare, l’errore F33 non se ne va. Il manuale dice:

Errore F33

 

 

 

Fantastico, e adesso che faccio? Non senza fatica trovo un cacciavite torx adatto a  smontare la copertura e cerco il pressostato.    Il pressostato lo si individua facilmente, una volta tolta la copertura. Basta identificare, sul lato 

destro, un tubicino di plastica trasparente, diametro di circa 5mm, che va dal pressostato fino all’apertura superiore, quella da cui esce il gas di scarico. Il pressostato è un dischetto di plastica  di qualche cm di diametro, da cui parte il tubicino di plastica trasparente che va verso l’alto. Guardo il tubicino trasparente del pressostato, ma mi pare pulitissimo. Anche i contatti elettricisembrano a posto. 
Niente da fare, devo chiamare l’assistenza. Chiamo l’idraulico che me l’ha venduto, e lui alza le mani: “Ah, guardi, mi spiace ma non posso aiutarla. Quel tipo di caldaia deve essere gestito direttamente dall’assistenza Vailant”. Allora chiedo a Google, che mi dice chi fa l’assistenza Vailant a Sanremo. Arriva un signore molto cortese, smonta la copertura, smonta tutto il circuito del pressostato. Non c’è solo il tubicino trasparente, ci sono anche dei tubicini in rame, con due o tre curve. Lui li pulisce, soffia, ci fa entrare uno scovolino che segue le curve. Insomma, la caldaia torna a vivere. Pare che gli insetti amino rifugiarsi nel tubicino di rame.

Tutto bene per un paio di mesi, poi di nuovo F33. 

Stavolta so bene come fare, smonto la copertura, smonto i tubicini, soffio, pulisco, rimonto, e come d’incanto la caldaia riparte. Ok, prendo nota che ogni due o tre mesi occorre pulire i tubicini di rame dagli insetti. Certo, potevano metterci una protezione. 

Passano ancora due o tre mesi, e la caldaia si blocca di nuovo. Errore F33? Eh, no! Troppo facile! Stavolta F63. Vediamo cosa dice il manuale:

Errore F63

 

Ah ecco! Una scheda da cambiare, siamo a posto. E, chiaramente, alla fine della garanzia. Provo a cercare qualche idea su Google, ma quel che trovo mi fa cadere le braccia, leggete qui.

Sembra proprio che questa caldaia sia nata male! Cerco invano una qualche risposta di Vailant, ma tutte le lamentele restano inascoltate e l’azienda si limita a non rispondere.

Questa gente pare non capire che ormai i clienti hanno imparato a cercare su internet, prima di un acquisto o in caso di problemi. E quando capiscono di essere davanti ad un prodotto mal progettato o, peggio, alle prese con una azienda che non si fa carico dei problemi dei propri (sfortunati) clienti, sanno come evitare di farsi fregare in futuro. 

Nel frattempo chiamo nuovamente l’assistenza Vailant di Sanremo. Ormai siamo amici. Il tecnico, sempre gentilissimo, viene, fa un magheggio sul pannello di comando remoto, e la caldaia riparte.
– “C’è da sostituire la scheda di controllo, purtroppo.”
– “Ma non sarà una questione di contatti da pulire, magari a tirar fuori e a rimettere in posizione i connettori?”
– “No, guardi, ormai conosco il problema. C’è una Eprom che ogni tanto perde il codice di identificazione dell’apparecchatura. La scheda non sa più che tipo di caldaia deve gestire. Sulle nuove schede il problema non si verifica. Purtroppo ho terminato le schede in magazzino, ci sarà da aspettare un paio di giorni. La chiamo in settimana”. 

Nel frattempo andrò avanti facendo un po’ di pratiche magiche, per far funzionare la caldaia. Quando interviene l’errore 63 faccio, in ordine sparso, le seguenti manovre che ripeto fino a quando l’errore sparisce:
– Stacco la corrente della caldaia, la tengo staccata qualche minuto, poi la riattacco. 
– Spengo la caldaia dal suo pannellino remoto, la tengo spenta per qualche minuto, poi la riaccendo.
– Sempre operando dal pannellino, spengo e riaccendo la caldaia ripetutamente.
– Apro l’acqua calda, la tengo aperta qualche minuto, e poi la spengo di nuovo.
Insomma, non c’è niente di logico in tutto questo, diciamo pure che faccio delle manovre a casaccio, ma solitamente ad un certo punto la caldaia riparte. 

Ecco, questa è la situazione ad oggi 18/11/2018. Appena ci saranno sviluppi aggiornerò questo diario. Nel frattempo, se anche voi avete problemi con questo scaldabagno, lasciate un commento. Magari ne può nascere un’azione “stimolante” nei confronti del produttore. Più siamo meglio è. Descrivete nel dettaglio qual è il problema e quali sono stati i vostri contatti con l’assistenza Vailant.

Se cercate in rete, poi, trovate anche molti riferimenti all’errore F27. A me non è (ancora) capitato. E’ definito  “fiamma non corretta”. Dicono di controllare l’elettrodo di ionizzazione (quello che fa la scintilla?) o di sostituire la scheda. Eh già, come se fosse facile. Anche perché, leggendo qua e là, pare che non sia neanche facile ottenere una scheda di ricambio. 

  • edit 23/11/2018

Alla fine la scheda di ricambio è arrivata e adesso la caldaia funziona. Con una spesa di 100€ problema risolto. Staremo a vedere quanto dura.

  • Edit 6 sett 2019

Inaspettatamente questo thread è diventato “popolare” ed ho ricevuto parecchi commenti che possono essere letti più in basso. Ho scoperto che anche un altro sfortunato utente, Luciano,  ha pensato di parlare dell’argomento sul suo blog.

  • Edit 19 sett 2019

Per chi avesse problemi ad individuare il pressostato e il tubicino di rame, guardate l’immagine qui sotto. In rosso il pressostato, in verde  il tubicino di rame. Dal pressostato al tubicino di rame c’è, non disegnato, un tubicino di plastica trasparente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  • Edit 26 sett 2019

I commenti arrivati (qui sotto) sono numerosi, e alcuni propongono delle soluzioni veramente interessanti. Ne consiglio vivamente la lettura!

  • Edit 1 novembre 2019

Si è aggiunto Silvano all’allegra congrega. Lui ha una caldaia Turbotech Exclusive con problemi analoghi, quindi la famiglia si allarga.

  • Edit 29 marzo 2020

Trovo finalmente l’occasione di pubblicare le foto che mi ha mandato Loredana che riguardano il montaggio della nuova scheda

  • Edit 15 settembre 2020
    Ragazzi, decisamente la questione Vailant Outsidemag interessa a molte persone. Al gruppo si è aggiunto Giovanni, i cui commenti trovate qui sotto, che ci ha addirittura inviato una procedura per aggiustare e migliorare la scheda della caldaia. 

ATTENZIONE: prima di avventurarvi nella riparazione/modifica della scheda valutate molto bene le vostre capacità tecniche! E’ un lavoro da persone preparate, dovete sapere distinguere un diodo zener da una resistenza e da un condensatore, dovete saper maneggiare con destrezza un saldatore a stagno ed un tester. In assenza di questi requisiti lasciate perdere! E soprattutto non venite a lamentavi da me o da Giovanni se qualcosa va storto, quello che fate lo fate a vostro esclusivo rischio e pericolo!

Ultima nota: non ho neanche aperto il file, non so cosa c’è dentro, non ho applicato le modifiche, non sono quindi in grado di offrire alcun supporto. 

Invito chi fosse interessato a leggere attentamente i commenti che Giovanni ha lasciato nell’area commenti qui sotto (commenti dall’undici settembre 2020 in poi)

Detto questo scaricate pure da questo link il malloppo contenente foto e istruzioni per la modifica / riparazione. Il file è in formato compresso ZIP. Le ultime versioni di windows aprono automaticamente i file compressi ZIP, ma se il vostro sistema operativo dovesse fare i capricci, potete sempre scaricare ed installare (sempre a vostro rischio e pericolo) il programma di creazione e apertura di cartelle compresse da questo link

Grazie ancora e complimenti a Giovanni.

Guerra di religione o contrapposte idiozie?

Allora, è ormai ufficiale che mi piace farmi del male, e con cadenza quasi giornaliera apro le pagine virtuali del sito del quotidiano “ilGIornale”. Solitamente è una cosa che non reggo per molto. Giusto il tempo di leggere un articolo e dare un’occhiata ai commenti, e la misura è subito colma. 

Oggi la cosa è durata qualche minuto di più, la mia attenzione è stata catturata da questo articolo:

Una grande Croce distrutta a Lesbo in Grecia. Un sacrilegio compiuto col sostegno delle Ong che dicono: “offende i migranti”. Silenzio del Papa.

Click qui per leggere l'articolo

Certo che detta così pare inquietante, perché mai qualcuno dovrebbe abbattere una croce? Senza se e senza ma, una cosa del genere è una cosa indecente, cretina. Partiamo da qui. 

E poi facciamo un passo in più. La croce non è li da sempre. E’ stata eretta a settembre. Ho fatto una ricerca in rete, in inglese, tanto per uscire dalle pastoie della politicuzza localle e delle sue strumentalizzazioni. E non son riuscito a capire chi avesse eretto questa croce, e con quali propositi. Ho solo letto che la croce era stata eretta ad Apellia, nei pressi del castello di Mytilene, in onore dei tanti morti in mare. Già questa cosa mi pare strana. Nel senso che sembra fatta apposta per contrapporre un simbolo religioso cristiano (“IL SIMBOLO”) ai tanti migranti solitamente non cristiani che arrivano nuotando sulle coste di Lesbo, quando non muoiono nel tentativo di farlo. Ora, se proprio uno vuole erigere un monumento per celebrare i morti in mare, visto che la maggioranza di questi sono musulmani, dovrebbe magari evitare di usare un simbolo religioso. Magari, che so, una cosa come quella che c’è a Piazza Verga a Catania 

 

Questa si che ricorda il mare, la barca, le onde, il naufragio, la lotta contro la morte. Se fossero stati sinceri, avrebbero fatto qualcosa del genere. E invece no, la croce. C’è o non c’è un intento conflittuale? E’ o non è un messaggio di contrapposizione, un dire “attento migrante che arrivi, questa è un paese cristiano, questa è la Croce che rappresenta la nostra religione”. E di questi tempi, è praticamente una dichiarazione di guerra. O quanto meno un messaggio di contrapposizione, non certo di unione. 

Ma teniamoci forte, i quattro passi nella follia non sono terminati. 

Pare, e dico “pare” perché di fonti sicure non ne ho trovate, pare dunque che le organizzazioni locali di aiuto ai migranti (le diaboliche ONG finanziate ovviamente da Soros, il diavolo in persona!) abbiano protestato per questa improvvida iniziativa. Fin qui ci può anche stare. Ma pare che la motivazione fosse: ” the coexistence group claimed that the cross was placed there to prevent migrants from swimming”. Insomma le associazioni sostengono che la croce è stata messa li per impedire ai migranti di nuotare. E questa mi pare delirante. Già mi suona incomprensibile il fatto che i migranti possano dirsi infastiditi dai simboli religiosi cristiani. E’ una cosa (pur vera) che non riesco a digerire. Ma che un migrante sul punto di morire possa fare dietro front, e magari andare a morire in mare aperto pur di non approdare su un’isola dominata dalla croce, mi pare davvero l’apoteosi dell’idiozia. Se qualcuno, delle associazioni di aiuto ai migranti, ha davvero detto e scritto una cosa del genre, è la prova provata che anche dove ci sono le migliori intenzioni imperversa furiosa la tempesta dell’idiozia. 

Idiota e provocatoria l’idea di erigere la croce, idiota quella di pensare che la croce possa impedire ai migranti di nuotare verso la salvezza.

E infine, ultimo passo nel delirio, qualcuno ha pensato bene di abbattere la croce a mazzate. Fantastico. Così il cerchio dell’idiozia è completo.  Che senso ha abbattere un simbolo religioso, pur se eretto con le peggiori intenzioni? Si protesta contro le guerre di religione, contro le crociate portate avanti da sovranisti deliranti, e per farlo si abbatte un simbolo religioso?

Ho proprio la sensazione che la follia, anzi, l’idiozia stia dilangando a macchia d’olio.

 

 

So tutto io

Mi è venuto in mente di scrivere questo post leggendo un articolo sulla sperimentazione dei camion elettrici che sta partendo sulla BreBeMi.

Non è tanto la cosa in se, che può interessare o meno, quanto il tenore dei commenti. La maggior parte sono livorosi e saccenti. Cito:

  • spero sia uno scherzo
  • Brebemi… non sanno più che inventarsi… 
  • Serio? Questa porcheria è innovazione? Alla faccia della mitigazione e compensazione ambientale… Da bloccare subito questo scempio.

e così via. Questa modalità è ormai diffusissima. Io la chiamerei “modalità bar sport”, dove ognuno si sente più intelligente e preparato del CT della nazionale o dell’allenatore di una qualsiasi squadra di serie A. E lo stesso per quanto riguarda la politica. Tutti allenatori, tutti potenzialmente uomini politici dalle grandi vedute. E però inascoltati (come tutti i grandi geni),  e però ridotti a spararle grosse al bar sport, meglio se dopo qualche bicchiere.  O sul blog preferito, meglio se anonimi. Questa gente sa tutto, ha già visto tutto, ha già studiato tutto. Non sbaglia mai ed è circondata da deficenti incapaci. Prova a dire la tua sul camion elettrico. Arriva subito lui e dice che è una cazzata. Lo stesso se si parla di auto elettrica, di riscaldamento globale o di qualsiasi altro argomento. Il So Tutto Io ha la risposta per tutto, e quel che dicono gli altri non vale niente.  Il STI non ha dubbi, ha solo certezze rocciose. A volte le cambia, ma sempre certezze rocciose sono. Ad esempio: una volta, negli anni 90/2000 era rocciosamente filoatlantico e a favore delle guerre, tutte, purché iniziate dagli USA. E chi era contro la guerra era un disfattista da mettere al muro. Adesso, con la stessa rocciosa sicurezza, è contro gli USA, a favore di Putin, e le guerre di una volta erano frutto del complotto massonico-giudaico delle élites.  Il STI non ha dubbi oggi come non li aveva allora. Girato di 180°, ma sempre roccioso. 

Il dubbio non lo sfiora. Il fatto che gli altri stiano sperimentando (ad esempio)  qualcosa di elettrico, con fatica, con dispendio di denaro e di speranze, per lui che sa già tutto è una perdita di tempo. O, peggio ancora, un complotto dei cinesi (o degli alieni) per mandare in crisi l’industria. 

Un minimo di buon senso, oltre che di rispetto per le idee altrui, consiglierebbe prudenza. Uno potrebbe dire “Questa cosa non mi convince proprio. Ma magari c’è qualcosa che io non so. Può anche essere che chi studia (per restare sull’esempio di apertura) l’applicazione del camion elettrico non sia un cretino completo. Forse hanno visto soluzioni che a me sfuggono”. Ma una simile insicurezza non si adatta al So Tutto Io, che essendo tutto d’un pezzo, non ammette esitazioni. 

Questo ipotetico (ma neanche tanto) personaggio spazia su quasi tutti i territori dello scibile umano. Difficile che ci sia qualcosa che non sa, su cui non nutra sicurezze rocciose. E allora lo trovi ovunque, che si parli di politica, di tecnologia, di ecologia o di morale. Chiedi a lui, saprà guidarti. Soprattutto al terzo bicchiere.

 

Sperando di sbagliare

ATTENZIONE: questo post non è completo. Torna più tardi o leggi pure, sapendo di leggere una cosa incompleta. 

Legato a vecchi principi di risparmio e di prudenza, guardo perplesso l’arrivo dei barbari e cerco di capire se porteranno, come dicono, novità e progresso o se invece non faranno che peggiorare le cose e rendere ancor più traballante il mio futuro di (spero) pensionato. Per questo giro con sguardo inquieto fra le ultime notizie e le pagine web che promettono di spiegare parole e sigle misteriose: DEF, PIL, Nota di aggiornamento e molte altre. 

Il risultato è sconsolante, fatico davvero ad orizzontarmi. E allora, come mia abitudine, provo a calare la teoria nella pratica. Provo a parlar per parabole, per esempi, come faceva un paio di millenni fa uno che, come me, si chiamava Salvatore ed era figlio di Maria. 

Diciamo che ho un’azienda. Niente di eccezionale, tiriamo su 100mila € l’anno. Purtroppo fra una cosa e l’altra ne spendiamo 110mila. Abbiamo un deficit di 10mila€ l’anno.  Il che ci porta ad aumentare il nostro debito di 10mila€  quest’anno. Niente di grave, in sè. Se non fosse che il debito è già arrivato a 130mila€. Il direttore della banca, che è un amico, mi dice “Salvo, bisogna fare qualcosa, devi rientrare poco per volta sennò son guai. Dall’anno prossimo dovrò comunque aumentarti il tasso di interesse altrimenti i miei capi mi tirano il collo. Un debito come il tuo sta diventando pericoloso, potresti non riuscire a rientrare. ”

Già oggi pago il 3%, il che vuol dire che quest’anno ho pagato 3’900€ sul debito di 130mila€. E l’anno prossimo? Se le cose non cambiano il deficit sarà sempre di 10mila€, portando il debito a 140mila€, gli interessi a 4’200€ che andranno anche loro a gravare sul debito per altri 300€ (la differenza fra i 4’200€ di interessi di quest’anno e i 3’900€ dell’anno scorso). Quindi il debito sarà in realtà di 140’300€.  In effetti mi sto arrotolando in una crisi progressiva, dalla quale rischio di non saltar fuori.

Qui le alternative sono solo due: o aumento le entrate, o diminuisco le uscite. Le spese le ho già ridotte all’osso, ho ottimizzato tutto l’ottimizzabile, per ridurre le uscite dovrei licenziare qualcuno. Ma i miei dipendenti mi servono tutti, tutti, per realizzare il fatturato. Quel che mi servirebbe è l’acquisto di nuovi macchinari che mi darebbero la possibilità di espandere il mercato. Ma il mio amico direttore di banca mi ha già detto che di ottenere un altro prestito non se ne parla. 

Devo trovare una banca o un privato che mi presti i soldi per rinnovare le macchine e aumentare le entrate. Lo scopo è quello di aumentare le entrate più di quanto aumenterà il debito, in modo da poter invertire la tendenza ed innescare una diminuizione progressiva del debito, fino ad andare in pareggio, o meglio in attivo.

Vado dal direttore della Banca Transilvania, “Saremo felici di prestarle i soldi che le servono, ma dobbiamo capire quali sono le nostre speranze di recuperare i soldi che le prestiamo. Lei ha fatto un progetto dettagliato di come intende utilizzare i soldi che le presteremo?” “Beh, si, speravo di aumentare la produzione rinnovando il parco macchine” “Non vedo però un piano industriale dettagliato, e un piano di rientro dal debito, non lo ha preparato?” “Beh, no, cioè, si, se produco di più aumentano le entrate e quindi rientro dal debito” “Ma caro signore, occorrono numeri, piani, progetti! Di quanto pensa di aumentare la produzione? Di quanto pensa di aumentare gli utili? Riuscirà l’aumento degli utili a compensare l’aumento degli interessi da pagare? Questi sono i numeri che vogliamo vedere, altrimenti come possiamo sperare di recuperare i nostri soldi? Senza un piano dettagliato pochi saranno disposti a darle ulteriore credito, e solo a fronte di interessi ben più pesanti di quelli di mercato”.

Ecco, grosso modo è questo quel che succede. Lo stato italiano (NOI) ha bisogno di soldi per fare qualsiasi cosa, sia per pagare la spesa corrente, sia soprattutto per fare investimenti. Se si vuole fare il terzo valico fra il nord Italia e Genova, occorrono investimenti. Se si vogliono migliorare le infrastrutture, occorrono investimenti.  E siccome siamo sempre in deficit (spendiamo più di quanto guadagnamo con le tasse), il nostro debito aumenta e questo rende inquieti i nostri creditori, siano essi italiani o stranieri. 

DiceLo spread è una bufala, una manovra dei poteri forti per bloccare la rinascita italiana“. Vediamo di ragionare su questo mantra che ci accompagna fin dalla caduta del goveno Berlusconi, nel 2011. Si diceva “i titoli di stato italiano sono in mano alle grandi banche e finanziarie internazionali che comprano e vendono a loro piacimento, determinandone artificiosamente il prezzo e quindi lo spread. Lo spread non esiste, non ci interessa”. Lo dicevano nel 2011, parlando del grande complotto. Lo dicono anche adesso, anche se ormai solo il 30% del debito italiano è in mani estere. L’Italia ha riacquistato quasi completamente il debito estero, e adesso sono per lo più le banche italiane a detenere i titoli di stato.

DiceSi ma anche le banche italiane sono schiave dei grandi circuiti finanziari, delle élites massonico-giudaiche“. Può anche darsi, chi lo sa. Ma resta il fatto che quando hai bisogno di soldi, ti presenti con il cappello in mano, e non puoi essere tu a stabilire qual è il tasso giusto, e quale prestatore preferisci. Il coltello ce l’hanno in mano loro. Il capitalismo non è  mai stato la San Vincenzo e neanche la Croce Rossa. Il grande capitalismo ha una sola regola: fare utile. Quindi se non ci piacciono le regole del grande gioco economico mondiale, delle due l’una: o abbiamo la forza per cambiare le regole del gioco, o ce ne tiriamo fuori e giochiamo entro i nostri confini con le regole che piacciono a noi. Mussolini fece qualcosa del genere, dopo le sanzioni economiche del 1935, con l’autarchia. Questo comporterebbe ovviamente l’uscita definitiva dall’euro ed il ritorno alla lira o ad altra valuta autarchica, si inventeranno un qualche nuovo nome evocativo. Una cosa è quasi certa: la nuova valuta sarebbe inizialmente molto svalutata rispetto all’euro, e di conseguenza tutti i risparmiatori italiani, banche e privati, si ritroveranno in mano carta straccia. Con buona pace di chi sperava di essersi garantito un buon paracadute per la vecchiaia. I titoli di stato non crollano mai! O no? La forza di cabiare le regole, ovviamente, non ce l’abbiamo. Proprio il fatto che la grande maggioranza del debito è ormai in mani italiani ci rende più deboli. Non possiamo neanche ricattare i nostri creditori, essendo questi in gran parte italiani. E, in più, i mercati esteri stanno facendo di tutto per liberarsi dei nostri titoli di stato, sempre più simili a spazzatura. E questo ci renderà sempre più deboli. Quindi le uniche strade plausibili sono due: giocare secondo le regole, magari facendo di tutto per convincere i nostri partner, o fare il salto nel buio.

Dice: “Si, certo, ci potrebbe essere un primo momento di sbandamento, ma poi la svalutazione Lira su Euro favorirà le esportazioni e farà riprendere l’economia“. Può darsi. Una cosa è certa, se usciamo dall’euro perdiamo ogni possiblità di dire la nostra sulle regole. A questo punto, visto che comunque dovremo commerciare con i paesi dell’area Euro, dovremo subire le loro regole, se vorremo vendere. Non potremo più difendere i nostri prodotti agricoli, meccanici, niente. Le regole europee dovremo comunque subirle, ma senza voce in capitolo. Non mi pare un gran bel miglioramento. Potremmo sempre vendere su mercati non europei, ma teniamo presente che la maggior parte (40%) delle nostre esportazioni è di beni di investimento, soprattutto meccanica strumentale. Il che ci mette in rotta di collisione con la Germania, che è il primo produttore europeo. Nel momento in cui dovessimo uscire dall’Euro, niente impedirebbe alla Germania di farci la guerra dei prezzi, e per quanto bravi, rischiamo di dissanguarci a far guerra alla Germania. Stesso ragionamento per gli altri settori di esportazione. Quindi puntare sulle esportazioni grazie alla lira debole potrebbe non essere facile come vogliono farci credere. 
Ma lo scopo di queste righe non è tanto l’analisi degli scenari di uscita dall’Euro quanto quell di fare una riflessione sulla pretesa dei nostri nuovi governanti di ignorare le questioni legate allo Spread e ai mercati internazionali. Il Ministro dell’Interno che dice “Lo spread ce lo mangiamo a colazione” fa un’affermazione che se può avere un senso sul lungo periodo, sul breve risulta essere quanto meno azzardata.  Visto che lo spread non è altro che un indice del rendimento dei nostri titoli di stato a 10 anni confrontato con gli analoghi titoli tedeschi, se lo spred sale, sale anche l’interesse che noi stato dovremo pagare ai nostri creditori per rinnovare i titoli a scadenza. 

Il bla bla bla su Mattarella e sul governo Lega-M5S

Il primo bla bla bla lo vorrei fare su Mattarella. Salvini, Di Maio, tutta la destra e “il popolo della rete” sparano idee in ordine sparso:

  • Mattarella ignora la volontà popolare e ostacola la nascita del “governo del cambiamento”
  • Mattarella tradisce il popolo italiano rifiutando la nomina di Savona come ministro.
  • Mattarella tradisce gli interessi italiani accettando i diktat Franco-Tedeschi, delle banche, della finanza, dei “poteri forti”.

Vediamo questi punti uno per volta, partendo dalla “volontà popolare” e dal “governo del cambiamento”, ma facendo un piccolissimo esercizio di memoria: la “volontà popolare” non ha votato alcun “governo del cambiamento”. Infatti chi ha votato M5S lo ha fatto dopo una campagna elettorale tutta incentrata sulla lotta contro il ” vero nemico” identificato nella destra e nel suo capofila Salvini. I M5S dicevano infatto che il PD non aveva speranze, tutti i sondaggi lo davano per morto, e che il vero avversario del movimento era la destra.  Stessa cosa, a parti inverse, nel campo della destra. Salvini e Berlusconi ne hanno dette di cotte e di crude sui M5S, e viceversa. Quindi NESSUN elettore di destra o M5S ha mai votato per un governo Lega-M5S. Nessuno. Il governo giallo-verde sarebbe, questo si, una evidente violazione del voto degli elettori. 

Passiamo al buon Mattarella che, dicono,  tradisce la volontà del popolo italiano rifiutando di nominare Savona alla carica di ministro dell’Economia. Ancora una volta val la pena di notare che Savona non era stato votato dagli elettori leghisti o M5S come cardine di un eventuale (ma non previsto) governo Lega-M5S. Quindi non esiste alcuna “volontà popolare degli elettori” riguardo alla nomina del prof.Savona alla carica di Ministro dell’Economia. 

E poi c’è la Costituzione Italiana che recita:

«Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.

Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri».

Insommma, i ministri li PROPONE il PdC e li NOMINA il PdR. Quello del Presidente della Repubblica NON E’ un ruolo puramente notarile, ossia il PdR NON E’ OBBLIGATO a nominare i ministri che vengono proposti dal PdC. La Costituzione specifica che quella del PdC è una proposta. E come ogni porposta può essere o meno accettata  dal PdR, che ha non solo il diritto, ma il dovere di verificare se questa proposta è più o meno utile alla nazione. E nessuno può sindacare queste sue scelte. Non esiste nella nostra Costituzione il concetto di poter mettere in stato d’accusa un PdR per atti relativi alla sua carica. In beve, l’idea di mettere sotto accusa Mattarella per aver rifiutato la nomina di Savona è una idiozia totale. Può piacere o meno, ma le regole sono queste. Se non piacciono, e se si ha la forza di farlo, si cambino le regole. Ma finchè le regole sono queste, si gioca secondo le regole. 

Chi volesse approfondire non ha che da cercare su Google “Costituzione nomina ministri”. Ad esempio, un articolo interessante è quello pubblicato da ilPost il 27 maggio 2018

E veniamo infine alla insopportabile sequenza che riguarda la Germania, la Francia, le Banche, la Finanza, e soprattutto i famosissimi “poteri forti”.

Da quando è caduto il muro viviamo tutti (a parte Cina e Nord Corea) in paesi a regime capitalista.  Chi comanda è il capitale, sono le oligarchie, sono i soldi. E dove vengono custoditi i soldi? Nelle banche, nei fondi di investimento. Certo, nominalmente i regimi capitalisti si dicono “democratici”. Ma “il capitale” ha sempre molti modi per proporre con forza, al limite dell’imposizione, le proprie esigenze. Negli USA, ad esempio, la classe politica, soprattutto quella che raggiunge posizioni di vertice, viene da famiglie di antica e tradizionale ricchezza. D’altra parte i prezzi di una campagna elettorale sono tali da tagliar le gambe a qualsiasi outsider.

Certo, oggi internet ha cambiato le regole del gioco, e un outsider può sperare di raggiungere risultati insperati usando la rete. Ma anche questo non è del tutto vero, non più. Anche per ottenere successo sulla rete oggi servono soldi, e tanti, per pagare aziende specializzate nella creazione campagne di opinione online, nell’inserimento di commenti fasulli, nella creazione di notizie farlocche (fake news). 

E quando il politico viene eletto, deve fare i conti con il vero potere, quello dei soldi. Difficile ottenere un qualsiasi risultato senza l’aiuto del vero potere, quello che manovra l’informazione, le banche, le industrie, i soldi. 

Non è possibile governare CONTRO il potere. Quelli che parlano della “volontà popolare” o non sanno cosa dicono, o sono in malafede. LA volontà popolare vince solo se il potere decide di lasciarla vincere. Può vincere per questioni di contorno, divorzio si/no, aborto si/no. Ma per governare, per fare le infrastrutture, per far funzionare scuole e ospedali e tribunali e tutto il resto servono SOLDI. E quando non bastano, ossia sempre, gli stati chiedono soldi in prestito, emettendo buoni del tesoro e varie obbligazioni. Queste obbligazioni le comprano soprattutto le banche. E’ OVVIO che chi ti presta i soldi, e tanti, voglia avere voce in capitolo sulle scelte. Oppure non ti presta i soldi, semplice. E non puoi dire (come hanno fatto quelli del M5S) adesso non ripaghiamo più i debiti. Perché a quel punto non trovi più nessuno disposto a prestarti i soldi. Tu presteresti i soldi ad un tuo collega che va in giro a dire che non vuole ripagare i debiti?

Tutti gli stati fanno debiti. Non esiste uno stato in grado di “autofinanziarsi”. Tutti gli stati emettono obbligazioni, che vanno per lo più in mano alle banche e ai fondi di investimento. Le banche con i nostri soldi prestano soldi allo stato (a tutti gli stati “democratici”) e incassano gli interessi. Geniale. 

Per questo quelli che si lamentano dello strapotere delle banche e della finanza sulle decisioni dei politici mi sembrano scemi o in malafede. Per com’è strutturata la vita pubblica occidentale non capisco quale sia l’alternativa. 

C’è un’altra favola che viene mandata in giro in questo periodo, ossia quella degli stranieri che vogliono comprarsi l’Italia. E’ ancora una volta una questione di potere. Chi ha i soldi compera, chi non li ha deve rassegnarsi a vendere. Noi Italiani in questo periodo siamo indebitati fino al collo, e non abbiamo neanche gli occhi per piangere. E non per colpa dei cattivi stranieri. Siamo noi che abbiamo scarsissima cultura politica e industriale. Abbiamo uomini politici e dirigenti industriali impreparati, ignoranti. Le nostre aziende sono per lo più a scarsissimo livello tecnologico, e i manager sono per lo più non all’altezza. I pochi competitivi finiscono per emigrare o per spostare le aziende all’estero.  Per decenni la scuola non è stata adeguatamente finanziata e potenziata, e la classe insegnante non è stata adeguatamente selezionata. In queste condizioni la classe politica non può essere meglio dei cittadini, e siamo a livelli mediamente più bassi dei nostri colleghi europei. 

Il processo di uscita da queste condizioni è lungo, e non sono per niente certo che possa cominicare con un governo giallo-verde. 

Questione di inclinazione

Sarà capitato per caso che in questo articolo de ilGiornale la foto è stata inclinata di lato? 

La foto originale era  presumibilmente questa, dritta. O comunque una presa nella stessa circostanza .

 

 

 

 

Ma, per caso o per malizia, è diventata questa, con una rotazione a destra di circa 30°.

(l’inclinazione di tende e muri testimonia quale fosse l’orientamento originale).

Quale che sia il motivo di questa elaborazione, difficile non ricordare una posa analoga. 

Il sig.Benito era solito assumere questa posa, con la volitiva mascella protesa in alto e in avanti.

E forse il solerte redattore ha voluto dare maggior impatto all’immagine del capo. Speriamo che il suo sforzo venga apprezzato e adeguatamente ricompensato.