Mussolini ha fatto anche cose buone

Lo sentiamo ripetere sempre. Mi pare addirittura che da qualche tempo questo mantra stia riprendendo vigore. 

Giunge a proposito un libretto velocissimo di Francesco Filippi:  Mussolini ha fatto anche cose buone: Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo di cui raccomando a tutti la lettura, soprattutto a chi è convinto che il ventennio sia stato una specie di età dell’oro. 

Si legge in un batter d’occhio e libera il campo dai luoghi comuni sui “miracoli” del fascismo. 

Non è mia intenzione rubare il lavoro a Filippi, ma due o tre cosuccie le voglio sintetizzare in questo post.  Non c’è niente di nuovo o di strabiliante. Sono cose che chi vuole può trovare facilmente, e Filippi fa a tal proposito un ottimo lavoro di bibliografia, 

Il Duce ha dato la pensione agli italiani?

Il primo sistema pensionistico fu introdotto in Germania da Bismark, nel 1888. La sua iniziativa fu man mano introdotta dagli altri paesi dell’Europa industriale. In Italia fu Crispi, nel 1895, ad introdurre i trattamenti pensionistici per impiegati pubblici e militari. Poi, nel 1898, il governo Pelloux estese la copertura ad altre categorie di lavoratori e fondò la “Cassa nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai”. Le lotte operaie degli anni successivi ottennero di estendere le protezioni alle maggiori categorie di lavoratori. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1919, altre riforme introdussero altre protezioni e l’adesione delle aziende alla “Cassa” divenne obbligatorio. 
E allora il Duce cosa c’entra? Molto poco in realtà. Accentrò tutto sotto il controllo dello stato, cambiò nome alla Cassa trasformandola in “Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale”, assunse un numero spropositato di impiegati, tutti di estrazione fascista, giungendo ad avere la bellezza di 8000 impiegati, un’enormità rispetto ai tempi. L’INFPS inaugurò il periodo in cui bastava dimostrare di essere fascista della prima ora (legge 782 del 1939) per avere diritto ad essere assunto dalla pubblica amministrazione. Questo scatenò la caccia ad improbabili patentini di “squadrista doc”. 

Il Duce ha dato la 13ma agli italiani?

Mica tanto. La gratifica natalizia era già abitudine, se pur informale, in molti paesi europei, Francia e Germania in testa. Il Duce la lasciò per lungo tempo alla scelta volontaria degli impenditori. Fu solo nel 1937 che venne inserita in una norma di legge riguardante il contratto collettivo dei lavoratori dell’Industria. Ma….. bilanciata dallo straordinario obbligatorio che poteva estendere l’orario di lavoro fino a 12 ore. I lavoratori non potevano rifiutare gli straordinari, il lavoro festivo e quello notturno.  

Il Duce ha bonificato le paludi?

Forse un po’. Ma non ha inventato niente. Furono già i romani ad affrontare questo problema. Poi il papato, nel Quattrocento. Poi il Regno d’Italia, con una legge ad hoc nel 1878 e più avanti nel 1905 e nel 1922. Nessuno di questi interventi fu però risolutivo. Il Duce ebbe il merito di coordinare gli sforzi e di fare una serie di leggi che stanziavano ficre iperboliche, soprattutto nel futuro. Ma i risultati furono molto inferiori alle attese. Cominciò nel 1923 promettendo di recuperare all’uso agricolo 8 milioni di ettari. Dopo 10 anni dichiarò trionfante di averne recuperati 4 milioni, ma un’analisi più approfondita dimostra che si trattava in realtà di 2 milioni di ettari di cui 1,5 milioni erano il risultato degli interventi già avviati in epoca prefascista. Risultato netto dello sforzo: 0.5 milioni di ettari sugli 8 promessi. Non molto, a dire il vero. 

E l’elenco continua, ma non vi voglio togliere il piacere di leggere il libro di Francesco Filippi. Mi limito ad elencare gli argomenti:

  • Edilizia popolare
  • Urbanistica e trasporti
  • Gestione delle emergenze
  • Giustizia e legalità
  • Sconfitta della mafia
  • Economia
  • IRI
  • Condizione femminile

Per ognuno di questi punti Filippi dimostra quanto i presunti meriti del Duce siano in realtà privi di consistenza e frutto di abile comunicazione mediatica. 

 

 

25 aprile

E’ appena passato il 25 aprile, eterna fonte di polemiche in questo nostro paese sempre diviso in due parti.  Almeno in due parti.

Tempo fa forse avrei potuto dire “diviso a metà”. E, anzi, ricordo tempi in cui la torta era divisa in modo diverso, e la giornata del 25 aprile mobilitava folle ed emozioni in proporzioni decisamente diverse.

Oggi ho l’impressione che le proporzioni siano cambiate, e che sia prevalente un senso di disinteresse, di stanchezza, di noia. Cheppalle il 25 aprile!

No, non la penso così. Resto dell’idea che non si debba dimenticare.

C’è chi dice “basta con questa divisione fra fascisti e antifascisti! Sono cose passate, bisogna guardare avanti, superare questa divisione”. E sarebbe come dire che occorre perdere la memoria, dimenticare la storia. 

Per inciso, c’è anche chi dice la stessa cosa per la giornata della memoria. Dicono, anche in questo caso, che si tratta di fatti ormai passati.

No, non si deve dimenticare. Non si devono dimenticare i campi di concentramento e non si deve dimenticare il giorno in cui finalmente siamo usciti da un’epoca buia.

Lo so, lo so. Ci son quelli che dicono che l’epoca del fascismo non era poi così buia. E che Mussolini “ha fatto anche cose buone”. E via con l’elenco delle “cose buone del fascismo”: le pensioni, la tredicesima, le bonifiche e via elencando luoghi comuni per lo pù infondati. 

Sulle “cose buone del fascismo” si può discutere a lungo, e chi vuole può leggere in questo post qualcosa a riguardo. Ma prima mi preme sottolineare un punto sul quale comunque non ci può essere discussione, sono fatti incontrovertibili.

Il fascismo era una dittatura illiberale. Censura sulla stampa, sull’informazione. Divieto di manifestazione, di associazione. Estromissione dalle funzioni pubbliche di chiunque non fosse iscritto al partito. Persecuzione fisica degli oppositori e degli ebrei. Impossibilità di scegliere i propri rappresentanti ed amministratori a qualsiasi livello. Molti di coloro che oggi guardano con nostalgia a quel periodo oggi sarebbero i primi a finire sotto il maglio della repressione. Usano oggi una libertà di critica che a quel tempo avrebbe significato carcere e persecuzioni di ogni tipo. 

Ma, dicono, la rinuncia alle libertà borghesi era un prezzo ben misero rispetto ai grandi vantaggi che il fascismo offriva ai cittadini. E, a sostegno di questa affermazione, ripetono a memoria l’elenco delle cose buone del fascismo. 

Ma vale davvero la pena di svendere la propria libertà per una lista di vantaggi materiali? 

Si, lo so, vi sento obiettare che mai come sotto il fascimo l’Italia era rispettata, studiata, ammirata in tutto il mondo. E gli italiani erano, solo allora, orgogliosi di essere italiani. Facile rispondere che molto dipendeva dall’abile gestione dei processi di comunicazione. Il governo controllava in modo rigoroso la macchina della comunicazione e del consenso, fornendo anche all’estero l’immagine di una nazione forte, organizzata, produttiva. Quanto di quest’immagine fosse reale e quanto frutto invece di una abile orchestrazione mediatica è compito su cui si sono cimentati gli storici di ogni tendenza.

Resta il fatto che repressione, carcere e persecuzioni non erano un’opinione. Erano la realtà di ogni giorno per chi voleva esprimere il proprio parere fuori dal coro. O, banalmente, per chi aveva subito il fato di nascere ebreo. 

E, soprattutto, le sorti della nazione erano nelle mani di una persona sola. Questo succedeva in Italia, in Germania, in Russia e nei satelliti dell’Est. E in tutti questi posti il tributo di sangue, di reperessione e di persecuzione è stato terribile.

Questo vuol dire 25 aprile. Vuol dire ricordare che la libertà è, come ha detto giustamente il PdR Mattarella, un bene assoluto. Svendere la propria libertà in cambio di vane promesse di stabilità e benessere significa preparare la strada a persecuzioni, repressioni, discriminazioni e sofferenze. E’ questa mia una affermazione arbitraria? No, onestamente penso di no. Chi pensa il contrario mi faccia il nome di una dittatura che non sia finita nel sangue, che non abbia oppresso e perseguitato proprio quel popolo che pretendeva di difendere. Nessuna dittatura di quelle passate, alla resa dei conti, può superare questo semplice filtro. Tutte hanno limitato le libertà personali, hanno perseguitato, incarcerato, ucciso gli oppositori e non solo quelli. Partite, forse, con buone intenzioni, sono tutte finite in un bagno di sangue. Tutte, qualunque fosse la matrice politica iniziale.

Le democrazie sono imperfette. Il potere economico le condiziona pesantemente, la corruzione le devasta. L’inefficienza le inchioda pesantemente a terra, rendendo difficile il lavoro di chi vorrebbe produrre ricchezza per se e per gli altri. 

Ma viviamo in un mondo imperfetto, specchio di noi esseri umani schiavi delle nostre egoistiche pulsioni. La democrazia è il miglior antidoto a queste imperfezioni. Un antidoto imperfetto, ma la storia dell’uomo, soprattutto quella recente, non registra esperienze riuscite che non siano finite nel dolore sangue. 

Nella democrazia, per quanto imperfetta, ci scegliamo in qualche modo i nostri rappresentanti. Li votiamo. Certo, i centri di potere fanno di tutto per piegare la democrazia, per snaturarla, per condizionarla. Ci impongono candidati che non ci piacciono. Liste bloccate, candidati paracadutati. Quelli che da qualche tempo vengono chiamati “poteri forti” (i poteri o sono forti o non vale la pena di citarli) fanno di tutto per piegare le democrazie ai loro interessi. Ovvio. Ma quale sarebbe, allora, l’alternativa?

Oggi, aprile 2019, vedo molti invocare l’arrivo dell’uomo forte, dell’uomo della provvidenza, di colui con con mano ferma sappia prendere il timone e portare il nostro paese verso un luminoso futuro. E invocano Salvini a piena voce, come i loro padri e nonni invocavano il nome del duce. 

Ma chi sceglie l’uomo forte? E con quale meccanismo? Mussolini, tanto per restare in Italia, è stato scelto dalla democrazia. Da quel poco di storia che ricordo, è arrivato in parlamento nel maggio 1921 . Discorso analogo per Hitler, che entrò nel  Reichstag nel 1930. 

Ma oggi, 25 aprile 2019, quale sarebbe la proposta politica di coloro che hanno in odio la democrazia e che invocano l’arrivo di un dittatore? Come propongono di effettuare la selezione? Vinca il più forte? Si veda al proposito come Stalin, il più forte, vinse la lotta per il potere contro  Trockij, Zinov’ev, Kamenev e Bucharin. E si valutino le conseguenze di questa vittoria del più forte.

Signori, la democrazia vi fa schifo, sognate che qualcuno (non certo voi, che preferite le calde poltrone) entri in parlamento con la forza e mandi all’altro mondo qualche parlamentare a casa. Ma cosa proponete in concreto, in alternativa a questa imperfetta democrazia?

Il 25 aprile questo è: la memoria di un periodo in cui, in Italia e altrove, la demorazia era stata offuscata e vilipesa di chi aveva preso il potere con la forza, con la forza aveva ridotto al silenzio e poi eliminato chiunque dissentisse dal pensiero unico. E con la forza aveva portato la nazione alla rovina.

Oggi protestate contro questo stanco 25 aprile.  Ma se lo potete fare è solo perché un 25 aprile c’è stato. 

Dimenticavo:

Molti vivono con fastidio questa data perché “de sinistra”. Ma è una scusa miserabile. Il 25 aprile è la festa dell’uscita da un tunnel di disperazione. E la festeggiano tutti, per lo meno quelli che non hanno nostalgie fasciste. Loro avrebbero probabilmente preferito che l’esito della guerra fosse stato un altro. Si mettano l’animo in pace.  Oppure attendano che l’oblio dilagante, l’ignoranza, la perdita del senso della storia, finiscano per svuotare questa ricorrenza. Quanti dei nostri giovani sanno, almeno per sommi capi, cos’è successo 74 anni fa?

Poi ci sono le sterili polemiche sul fatto che i partigiani si siano addossati il merito di una guerra vinta da altri, che il loro contributo alla disfatta di fascisti e nazisti sia stato irrilevante. E che a causa loro siano stati uccisi dai nazifasi numerosi civili innocenti. La storia si divide nella valutazione di alcune azioni violente nei confronti dei nazisti, le valutazioni non sono univoche e chissà se si arriverà mai ad un bilancio sereno. Certo è strano pensare di restarsene buonini buonini a casa mentre un esercito occupante mette a ferro e fuoco il nostro paese, razziando e uccidendo. Ci saranno state, certo, strategie politiche in tutto questo, in vista della spartizione del potere dopo la fine della guerra. Ma resta il fatto che non so quanti di quelli che oggi danno fiato alle trombe contro il 25 aprile sarebbero rimasti buoni e calmi a vedere i nazisti  e i fascisti spadroneggiare ancora con violenza e brutalità. O forse si, forse sarebbero rimasti rintanati in casa come topi. O, magari, sarebbero stati loro dalla parte dei fascisti. 

E infine, il 25 aprile non è il Santo Graal, non è la reliquia che guarisce tutti i mali. I cretini ci sono sempre anche quel giorno. I cretini che fischiano i partigiani ebrei, quelli che (è successo!) fischiano la Moratti e suo padre in carrozzella. Ci sono i cretini che si sentono padroni ed unici eredi del 25 aprile. Questo nulla toglie al significato di questa data. 

 

 

 

 

 

 

Questione di inclinazione

Sarà capitato per caso che in questo articolo de ilGiornale la foto è stata inclinata di lato? 

La foto originale era  presumibilmente questa, dritta. O comunque una presa nella stessa circostanza .

 

 

 

 

Ma, per caso o per malizia, è diventata questa, con una rotazione a destra di circa 30°.

(l’inclinazione di tende e muri testimonia quale fosse l’orientamento originale).

Quale che sia il motivo di questa elaborazione, difficile non ricordare una posa analoga. 

Il sig.Benito era solito assumere questa posa, con la volitiva mascella protesa in alto e in avanti.

E forse il solerte redattore ha voluto dare maggior impatto all’immagine del capo. Speriamo che il suo sforzo venga apprezzato e adeguatamente ricompensato.