Discorsi sotto l’albero.

Non si dovrebbe fare, ma spesso si finisce per dimenticare accesa la tv mentre si chiacchiera, sgranocchiando frutta secca o panettone.

A casa mia la TV è spesso sintonizzata su un canale all news, di quelli che passano le notizie a nastro, facendo solo qualche sosta per la pubblicità.

E stamattina, mentre facevamo colazione, ho sentito mia mamma sbottare “ma che senso ha tirar fuori queste cose dopo 20 anni? Però prima sono state zitte, quando le faceva comodo!”.

Oddio, no! La solita storia delle attrici che hanno deciso di raccontare quando #metoo, quando anche loro hanno dovuto subire approcci sessuali dal produttore o dall’attore o potente di turno.

Anche mia mamma, come tanti, dovendo scegliere il bersaglio  per la propria insofferenza, per non dire indignazione, ha deciso di prendersela con la lei di turno. Gli argomenti sono tanti. “Perchè è stata zitta tutto questo tempo? Perché ha deciso di parlare solo adesso? Perchè ha accettato le avances del potente? Se le ha fatto comodo far carriera, perché adesso viene a rompere le scatole?”.

Quello che mi stupisce è vedere che anche le donne impugnano questi luoghi comuni. Già risultano insopportabili quando vengono sputati con acidità dagli uomini, mi aspetterei dalle donne un atteggiamento meno ingiustamente censorio.

Quel che succede è che si sbaglia mira. Dovendo sparare un colpo, uno solo, si decide di puntare il fucile sulla vittima invece che sul carnefice. “Lei poteva dire di no”. Sul bastardo che approfitta della sua posizione per ottenere indebiti favori, si glissa. L’espressione del viso si accartoccia, come in certi film dell’orrore, ed esprime balbettando monconi di scuse incomplete: “ma l’uomo….sai…..certo… d’altra parte si sa…. come sono fatti gli uomini…. è la donna che deve…..”

Tanta gente si è già cimentata a scrivere su questo argomento. Mi ci provo anche io.

Prima obiezione: “Le ha fatto comodo per fare carriera”. Eh già. Qualcuno, che in quel momento ha il potere, decide di far lavorare non chi se lo merita, ma chi accetta di far sesso. La ragazza (ma sappiamo che è successo anche a uomini) può scegliere, certo. Può, certo, rinunciare ai propri sogni e al lavoro per il quale ha magari studiato anni all’accademia. Può, certo, lasciar perdere, aspettare il prossimo tram, magari fra un anno, magari fra due. E intanto servire hamburger al mac, o lavar piatti in un cinese. Dove, magari, il padrone ogni volta che ti passa dietro ti tocca il culo e se protesti sei libera di andare, che ce ne sono altre che aspettano il posto. E allora perché, se hai una pallottola, una sola, la usi per sparare su di lei, e non sul bastardo che si approfitta della situazione per fare i comodacci suoi.

Seconda obiezione: “Poteva dire di no. L’hanno fatto in tanti”. Certo, avrebbe potuto. Ma questa in fondo ricalca la prima obiezione. Gli elementi sono gli stessi.

Terza obiezione: “Perché ha aspettato tutto questo tempo? Perché non l’ha denunciato subito?” Eh già. Facile. Quando ti senti sola. Quando tutti, per il solo fatto che sei donna e vuoi fare l’attrice, nel loro intimo pensano che comunque un po’ bagascia sei.  Quando sei abituata, in quanto donna, a pensare che quando si approfittano di te è comunque in parte colpa tua. Quando, da sempre, sei abituata a nascondere le violenze subite perché la prima domanda sarà “ma tu cos’hai fatto?”. E allora te lo tieni dentro. Pensi che forse è anche colpa tua. E ti vergogni, per non aver saputo dire di no, per non avere avuto il vaffanculo pronto. Per non aver avuto il coraggio di sottrarti, per essere stata vigliacca, per aver accettato un sordido compromesso. Te lo tieni dentro per anni, cerchi di non pensarci. E poi un’altra parla, racconta, dice ad alta voce qual che tu avresti voluto dire subito, ma te ne è mancato il coraggio. E allora capisci che è questo il momento. Per te, e per le ragazze che verranno dopo di te. Perchè si sappia, tardi per te ma non per loro, che il mondo è sempre andato così, ma forse può cambiare, può essere diverso. E un’attrice potrebbe anche trovar lavoro senza essere costretta a darla via, senza dover scegliere fra lavoro e dignità. E perché a te è andata anche bene, che in cambio hai avuto fama e successo. Ma quante donne, invece, hanno dovuto subire le stesse imposizioni (se non vogliamo chiamarle con il loro nome: violenze) in ufficio, nella cucina di un ristorante, ovunque ci sia un capo con il potere di licenziarti se non ci stai.

Ce ne sarebbero altre di considerazioni di fare. Ma il succo è il solito. A molti dà fastidio questo coro, questa pioggia continua di #metoo, di “è successo anche a me”. Danno fastidio queste donne che alzano la testa, che gridano che non ne possono più di dover subire queste forzature dei loro desideri, questi ricatti. Questo modo di dire “sei un essere inferiore, e se vuoi un lavoro, una carriera, devi fare quel che ti dico io”.

Certo, ci saranno anche quelle che ne approfittano, per ricavarsi un po’ di notorietà. O quelle che hanno avuto un passato un po’ borderline, e allora vengono usate come esempio per dire “visto? E’ tutta una pagliacciata, è una bolla che poi si sgonfia, e’ solo una scusa per far parlare di sè. ” A molti giornalisti non sembrerà vero citare l’Asia Argento di turno o il caso dell’attore insidiato dalla produttrice. A molti non sembrerà vero poter sgonfiare il caso, poter concludere “tranquilli, uomini, non è successo niente. Un paio di ninfette che hanno voluto sollevare un polverone per niente. Tranquilli, poi passa, potrete toccare tranquillamente il culo alle vostre segretarie, e licenziarle se protestano”.

Ci son quelli, come Marilyn Manson, che dicono “Bisognerebbe raccontarlo alla polizia, e non ai media”. Dimostrando così di non capire. Raccontarlo alla polizia, dopo vent’anni, serve e non serve. Non serve a niente alle ragazze che queste violenze (si, sono violenze) dovranno affrontarle domani, fra un anno, fra due, fra dieci anni. Non serve a modificare, almeno un po’, le coscienze.  A questo serve parlare, anche dopo dieci, vent’anni. Serve a far crescere la consapevolezza, raccontare che queste cose succedono, si, ma ci si può opporre. Ci si deve opporre.

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