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Legato a vecchi principi di risparmio e di prudenza, guardo perplesso l’arrivo dei barbari e cerco di capire se porteranno, come dicono, novità e progresso o se invece non faranno che peggiorare le cose e rendere ancor più traballante il mio futuro di (spero) pensionato. Per questo giro con sguardo inquieto fra le ultime notizie e le pagine web che promettono di spiegare parole e sigle misteriose: DEF, PIL, Nota di aggiornamento e molte altre.
Il risultato è sconsolante, fatico davvero ad orizzontarmi. E allora, come mia abitudine, provo a calare la teoria nella pratica. Provo a parlar per parabole, per esempi, come faceva un paio di millenni fa uno che, come me, si chiamava Salvatore ed era figlio di Maria.
Diciamo che ho un’azienda. Niente di eccezionale, tiriamo su 100mila € l’anno. Purtroppo fra una cosa e l’altra ne spendiamo 110mila. Abbiamo un deficit di 10mila€ l’anno. Il che ci porta ad aumentare il nostro debito di 10mila€ quest’anno. Niente di grave, in sè. Se non fosse che il debito è già arrivato a 130mila€. Il direttore della banca, che è un amico, mi dice “Salvo, bisogna fare qualcosa, devi rientrare poco per volta sennò son guai. Dall’anno prossimo dovrò comunque aumentarti il tasso di interesse altrimenti i miei capi mi tirano il collo. Un debito come il tuo sta diventando pericoloso, potresti non riuscire a rientrare. ”
Già oggi pago il 3%, il che vuol dire che quest’anno ho pagato 3’900€ sul debito di 130mila€. E l’anno prossimo? Se le cose non cambiano il deficit sarà sempre di 10mila€, portando il debito a 140mila€, gli interessi a 4’200€ che andranno anche loro a gravare sul debito per altri 300€ (la differenza fra i 4’200€ di interessi di quest’anno e i 3’900€ dell’anno scorso). Quindi il debito sarà in realtà di 140’300€. In effetti mi sto arrotolando in una crisi progressiva, dalla quale rischio di non saltar fuori.
Qui le alternative sono solo due: o aumento le entrate, o diminuisco le uscite. Le spese le ho già ridotte all’osso, ho ottimizzato tutto l’ottimizzabile, per ridurre le uscite dovrei licenziare qualcuno. Ma i miei dipendenti mi servono tutti, tutti, per realizzare il fatturato. Quel che mi servirebbe è l’acquisto di nuovi macchinari che mi darebbero la possibilità di espandere il mercato. Ma il mio amico direttore di banca mi ha già detto che di ottenere un altro prestito non se ne parla.
Devo trovare una banca o un privato che mi presti i soldi per rinnovare le macchine e aumentare le entrate. Lo scopo è quello di aumentare le entrate più di quanto aumenterà il debito, in modo da poter invertire la tendenza ed innescare una diminuizione progressiva del debito, fino ad andare in pareggio, o meglio in attivo.
Vado dal direttore della Banca Transilvania, “Saremo felici di prestarle i soldi che le servono, ma dobbiamo capire quali sono le nostre speranze di recuperare i soldi che le prestiamo. Lei ha fatto un progetto dettagliato di come intende utilizzare i soldi che le presteremo?” “Beh, si, speravo di aumentare la produzione rinnovando il parco macchine” “Non vedo però un piano industriale dettagliato, e un piano di rientro dal debito, non lo ha preparato?” “Beh, no, cioè, si, se produco di più aumentano le entrate e quindi rientro dal debito” “Ma caro signore, occorrono numeri, piani, progetti! Di quanto pensa di aumentare la produzione? Di quanto pensa di aumentare gli utili? Riuscirà l’aumento degli utili a compensare l’aumento degli interessi da pagare? Questi sono i numeri che vogliamo vedere, altrimenti come possiamo sperare di recuperare i nostri soldi? Senza un piano dettagliato pochi saranno disposti a darle ulteriore credito, e solo a fronte di interessi ben più pesanti di quelli di mercato”.
Ecco, grosso modo è questo quel che succede. Lo stato italiano (NOI) ha bisogno di soldi per fare qualsiasi cosa, sia per pagare la spesa corrente, sia soprattutto per fare investimenti. Se si vuole fare il terzo valico fra il nord Italia e Genova, occorrono investimenti. Se si vogliono migliorare le infrastrutture, occorrono investimenti. E siccome siamo sempre in deficit (spendiamo più di quanto guadagnamo con le tasse), il nostro debito aumenta e questo rende inquieti i nostri creditori, siano essi italiani o stranieri.
Dice “Lo spread è una bufala, una manovra dei poteri forti per bloccare la rinascita italiana“. Vediamo di ragionare su questo mantra che ci accompagna fin dalla caduta del goveno Berlusconi, nel 2011. Si diceva “i titoli di stato italiano sono in mano alle grandi banche e finanziarie internazionali che comprano e vendono a loro piacimento, determinandone artificiosamente il prezzo e quindi lo spread. Lo spread non esiste, non ci interessa”. Lo dicevano nel 2011, parlando del grande complotto. Lo dicono anche adesso, anche se ormai solo il 30% del debito italiano è in mani estere. L’Italia ha riacquistato quasi completamente il debito estero, e adesso sono per lo più le banche italiane a detenere i titoli di stato.
Dice “Si ma anche le banche italiane sono schiave dei grandi circuiti finanziari, delle élites massonico-giudaiche“. Può anche darsi, chi lo sa. Ma resta il fatto che quando hai bisogno di soldi, ti presenti con il cappello in mano, e non puoi essere tu a stabilire qual è il tasso giusto, e quale prestatore preferisci. Il coltello ce l’hanno in mano loro. Il capitalismo non è mai stato la San Vincenzo e neanche la Croce Rossa. Il grande capitalismo ha una sola regola: fare utile. Quindi se non ci piacciono le regole del grande gioco economico mondiale, delle due l’una: o abbiamo la forza per cambiare le regole del gioco, o ce ne tiriamo fuori e giochiamo entro i nostri confini con le regole che piacciono a noi. Mussolini fece qualcosa del genere, dopo le sanzioni economiche del 1935, con l’autarchia. Questo comporterebbe ovviamente l’uscita definitiva dall’euro ed il ritorno alla lira o ad altra valuta autarchica, si inventeranno un qualche nuovo nome evocativo. Una cosa è quasi certa: la nuova valuta sarebbe inizialmente molto svalutata rispetto all’euro, e di conseguenza tutti i risparmiatori italiani, banche e privati, si ritroveranno in mano carta straccia. Con buona pace di chi sperava di essersi garantito un buon paracadute per la vecchiaia. I titoli di stato non crollano mai! O no? La forza di cabiare le regole, ovviamente, non ce l’abbiamo. Proprio il fatto che la grande maggioranza del debito è ormai in mani italiani ci rende più deboli. Non possiamo neanche ricattare i nostri creditori, essendo questi in gran parte italiani. E, in più, i mercati esteri stanno facendo di tutto per liberarsi dei nostri titoli di stato, sempre più simili a spazzatura. E questo ci renderà sempre più deboli. Quindi le uniche strade plausibili sono due: giocare secondo le regole, magari facendo di tutto per convincere i nostri partner, o fare il salto nel buio.
Dice: “Si, certo, ci potrebbe essere un primo momento di sbandamento, ma poi la svalutazione Lira su Euro favorirà le esportazioni e farà riprendere l’economia“. Può darsi. Una cosa è certa, se usciamo dall’euro perdiamo ogni possiblità di dire la nostra sulle regole. A questo punto, visto che comunque dovremo commerciare con i paesi dell’area Euro, dovremo subire le loro regole, se vorremo vendere. Non potremo più difendere i nostri prodotti agricoli, meccanici, niente. Le regole europee dovremo comunque subirle, ma senza voce in capitolo. Non mi pare un gran bel miglioramento. Potremmo sempre vendere su mercati non europei, ma teniamo presente che la maggior parte (40%) delle nostre esportazioni è di beni di investimento, soprattutto meccanica strumentale. Il che ci mette in rotta di collisione con la Germania, che è il primo produttore europeo. Nel momento in cui dovessimo uscire dall’Euro, niente impedirebbe alla Germania di farci la guerra dei prezzi, e per quanto bravi, rischiamo di dissanguarci a far guerra alla Germania. Stesso ragionamento per gli altri settori di esportazione. Quindi puntare sulle esportazioni grazie alla lira debole potrebbe non essere facile come vogliono farci credere.
Ma lo scopo di queste righe non è tanto l’analisi degli scenari di uscita dall’Euro quanto quell di fare una riflessione sulla pretesa dei nostri nuovi governanti di ignorare le questioni legate allo Spread e ai mercati internazionali. Il Ministro dell’Interno che dice “Lo spread ce lo mangiamo a colazione” fa un’affermazione che se può avere un senso sul lungo periodo, sul breve risulta essere quanto meno azzardata. Visto che lo spread non è altro che un indice del rendimento dei nostri titoli di stato a 10 anni confrontato con gli analoghi titoli tedeschi, se lo spred sale, sale anche l’interesse che noi stato dovremo pagare ai nostri creditori per rinnovare i titoli a scadenza.