21 febbraio 2009

Le ronde

Non dovrebbe neanche servire parlarne. Non dovrebbero neanche esistere, come concetto, le ronde. Dovrebbe essere normale che i cittadini si prendessero cura del territorio. Dovrebbe essere normale che qualcuno, in presenza di un reato o anche di un comportamento maleducato, sentisse il dovere di intervenire. Dovrebbe essere normale zittire il ragazzo maleducato che sul tram si permette di importunare l'emigrato di turno, o che resta seduto al suo posto mentre un anziano resta in piedi. Dovrebbe essere del tutto normale sentire il dovere di accompagnare una ragazza, una signora che si sera si avventura in un parcheggio deserto. Dovrebbe essere normale intervenire quando, di notte, un gruppo di ragazzi ubriachi devastano un parco cittadino dando fuoco alle panchine e rompendo ovunque bottiglie di birra.
Dovrebbe essere del tutto normale, senza bisogno di sancirlo per legge, che la società insegnasse ai propri giovani il comportamento corretto, il rispetto per l'anziano ed il più debole, l'immigrato, da donna in difficoltà. Dovremmo, per abitudine, prenderci cura del territorio e di chi lo abita, senza chiedere nessun permesso al prefetto o al sindaco.
Ma viviamo in un mondo in cui il territorio è devastato da ogni tipo di speculazione, dove gli esseri umani sono merce da usare e poi buttare quando non servono più. Dove le donne sono proposte non come persone ma come oggetti del desiderio su ogni schermo televisivo, su ogni periodico, in ogni pubblicità.
I nostri ragazzi imparano subito, sin da bambini, che la violenza è utile per farsi strada nella vita, che la moralità non serve a niente, che per fare successo nella vita basta essere sufficientemente volgari, immorali, disinibiti. Imparano che non esiste legalità, a partire dai genitori che evadono tutte le tasse che possono, per finire ai governanti che oltre ad evadere abitualmente le tasse, utilizzano il loro potere a fini quasi esclusivamente personali.
Nelle nostre città i poveri vengono cacciati via dalle stazioni ferroviarie e dalle metropolitane perchè sono indecorosi, così vanno a morire serenamente di freddo sulla panchina di un parco, meritandosi qualche secondo di popolarità nel telegiornale della sera.
Nessuno, in questo nostro povero paese, si prende cura del territorio e dei suoi abitanti, lasciando che avanzi il degrado morale, urbanistico ed ambientale.
E in questo sfascio generalizzato improvvisamente ci si accorge che alcuni stranieri sono anche maleducati e violenti, e all'occorrenza fanno quello che molti maschi italiani hanno sempre fatto fra le quattro mura di casa: violentano le donne.
E allora, all'improvviso, dobbiamo porre rimedio e, siccome "non possiamo mettere un poliziotto a guardia di ogni bella ragazza", decidiamo di autorizzare le "ronde". Decidiamo di regolamentare per legge quel che la nostra cultura non ha saputo fare. Ossia di far si che ognuno di noi si debba sentire responsabile di difendere i deboli da qualsiasi tipo di aggressione. Si decide allora di "regolamentare le ronde", quasi che ci fosse un movimento di popolo da controllare. Finiremo, invece, per legittimare l'idea che ci si possa mettere in gruppo per dare la caccia allo straniero, per intimidirlo, per spaventarlo, per vessarlo. Con la benedizione della legge. Chi eviterà che gruppi di buoni militanti padani, fiorentini, romani o napoletani, decidano in autonomia di fermare, perchè non si sa mai, ogni gruppo di immigrati sospetti, per controllare i documenti, per esercitare quella piccola, fisiologica pressione contro queste persone, sospettate in quanto straniere e povere? E se qualcuno dovesse opporre resistenza? Beh, cosa vuoi, chi farà mai caso se ci scappa qualche bastonata? Questa iniziativa sembra fatta apposta per invogliare i più esagitati a

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20 febbraio 2009

Non succede niente di strano

Parlando con i miei amici, leggendo gli interventi sui forum, mi ha colpito il diffuso riferimento alla depressione e/o incazzatura. Anche io mi lascio spesso prendere da questo senso di impossibilità a cambiare. Ne parlavo proprio ieri sera in chat con
una amica polacca, alla quale tentavo di descrivere, nel mio povero
inglese, la penosa situazione italiana.
Poi però mi è venuto (farei meglio a dire mi è tornato) in mente un
vecchio pensiero.
La nostra è una generazione disillusa. Parlo della generazione dei 50enni
di oggi, io ne ho 55.
Disillusa perchè siamo passati, chi più chi meno, attraverso le grandi
speranze degli anni 60/70.
Ma una disillusione prevede che ci sia stata una precedente illusione.
Questo è, ci siamo illusi.
Alle nostre spalle c'era un mondo che nei secoli passati aveva
attraversato continui cicli di guerre devastanti, paci instabili,
sopraffazioni, ingiustizie, e via cercando nel vocabolario.
Ci siamo illusi che fosse possibile mettere fine a questo eterno
succedersi di violenze ed ingiustizie.
Abbiamo avuto una infantile fiducia nella "ricetta giusta", ed anche un
po' magica. Io da piccolo ero convinto che esistessero le ricette giuste,
le magie. Che bastasse capire "come si fa". Un po' come nella tecnica,
come cambiare la guarnizione di un rubinetto o il fusibile di casa (allora
non c'erano i salvavita). Pensavo che bastasse capire come si fa.
Lo stesso con la politica. Ci illudevamo di aver capito "come si fa". E
quel che non avevamo ancora capito, eravamo convinti che l'immaginazione
al potere ci avrebbe permesso di capirlo dopo.
Non era così, e dopo l'illusione è arrivata una disillusione dalla quale
non riusciamo ancora a saltare fuori.
Ma è semplice. Il mondo è quello di sempre, con violenze e sopraffazioni.
Con guerre e sfruttamenti.
E noi non dobbiamo mai abbassare la guardia, mai smettere di lottare. Con
la coscienza che non vinceremo mai.
Che questo non diventerà mai "un paese normale", perchè ogni paese ha le
sue caratteristiche. Gli svedesi sono svedesi, e noi siamo italiani.
Ma questo non significa smettere di tentare di portare un po' di Svezia da
noi (posto che la Svezia possa essere un buon riferimento). Perchè, come
nel tiro alla fune, appena molli un attimo, vincono gli altri.
Quelli che rendono il nostro paese ancora più invivibile.
E allora, per saltare fuori dai malumori e dalle incazzature, occorrerebbe
pensare che non sta succedendo in fondo niente di strano. I bastardi si
comportano giustamente da bastardi, seguendo la loro natura. E i leghisti
da leghisti. E i Maroni da Maroni. A noi, a chi non si sente nè bastardo
(beh, non troppo per lo meno), nè leghista e neanche Maroni, capita in
sorte di tirare la corda dall'altro lato, e di non mollare, per non
lasciar vincere gli altri.
Forza gente, non è il caso di abbattersi, in un'ottica temporalmente meno
limitata, non sta succedendo niente di diverso dal solito.

19 febbraio 2009

E se i riti fossero laici?

Abbiamo bisogno di riti. Ne abbiamo bisogno per conoscere e riconoscere i nostri compagni di strada. I riti sono momenti di socialità, di legittimazione reciproca. O per lo meno potrebbero esserlo, se fossero laici. Invece spesso i riti sono sostenuti dalla fede. In Dio, o nel Milan, o nel Duce di turno. E allora smettiamo di guardare a chi sta vicino a noi, e invece guardiamo in alto, o in basso, fa niente. Ma guardiamo altrove. Sarebbe bello se potessimo andare in chiesa, a celebrare il rito della presenza collettiva, della solidarietà. Andare li senza credere nel trascendente, ma per il piacere di essere li insieme agli altri. Credendo, fermamente, nell'umanità. Io credo in te, tu in me. Non abbiamo bisogno di trascendere. Anzi, avremmo proprio bisogno di restare con i piedi per terra.

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18 febbraio 2009

Wisława Szymborska - Labirinto

Wisława Szymborska è una poetessa polacca molto famosa.
Questa poesia mi piace molto.

- e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.

Una via dopo l’altra,
ma senza ritorno.
Accessibilie soltanto
ciò che sta daanti a te,
e laggiù, a mo’ di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farsi sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraversi infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a moli ancora aperti,
dove c’è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c’è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell’infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d’improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c’è.
Deve pur esserci un’uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga -

versione polacca
versione inglese ancora non l'ho trovata

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14 febbraio 2009

Un passo di troppo

Leggo oggi su l'Eco di Bergamo (in questi giorni lavoro a Ranica(BG)) un interessante resoconto sull'incontro che due malati di SLA hanno avuto con il pubblico. L'incontro aveva lo scopo di presentare il libro "Ma cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la vita, la morte" scritto da uno di loro, il medico dott.Mario Melazzini. L'altro ammaltato presente è il sacerdote don Roberto Pennati. Dall'incontro emerge la storia personale dei due malati e la loro convinzione che, in caso di gravi malattie degenerative come la SLA, occorre parlare di "diritto alla vita" invece che di "diritto alla morte". Torna un po' la distinzione artificiosa fatta dal presidente del consiglio SB fra un "partito della libertà e della vita" contrapposto ad "partito dello statalismo e della morte".
Torna l'esigenza di polarizzare la situazione, di indentificare due parti contrapposte.
Polarizzazione cercata non certo da don Pennati e Melazzini, ma da coloro che hanno fatto di tutto per strumentalizzare la tragica storia di Eluana.
Le posizioni del dott.Melazzini e di don Pennati sono coraggiose e soprattutto vengono da chi la malattia la vive in prima persona, sul proprio corpo che progressivamente rifiuta di collaborare. Entrambi hanno sottolineato la loro esigenza, comune ai malati terminali di questo tipo, di avere soprattutto digità di persone e attenzioni.
Questa loro posizione è del tutto condivisibile.
Ma sarebbe bello se potessimo fermarci qui. Se potessimo accettare il fatto che la loro è "una posizione", e non "la posizione". Se potessimo accettare che ci sono malati che affrontano la malattia in modo divero. Non si può ridurre tutto al fatto, del tutto ipotetico, che alcuni di questi malati siano abbandonati a se stessi, privati di amicizia e di amore, e che quidi non abbiano la forza di affrontare fino in fondo il loro calvario. Certe malattie diventano difficili da sopportare soprattutto nelle fasi terminali, quando il corpo diventa una prigione totale, senza alcuna possibilità di movimento o di comunicazione, se non con un leggero movimento degli occhi. E quando la prospettiva futura è solo la morte per totale paralisi anche dei muscoli della respirazione. O forse neanche quella, perchè un respiratore può mantenerci ugualmente in vita.
Alcuni affrontano questa situazione a testa alta, con il coraggio che gli viene dal carattere o da convinzioni personali o religiose. Ma altri hanno sensibilità diversa, un coraggio diverso. Si dovrebbe evitare quel passo di troppo, di ritenere che l'unica posizione accettabile sia quella di chi decide di combattere fino in fondo la battaglia per ritardare la morte anche di un solo mese, anche di un solo giorno.
Si dovrebbe accettare che rispetto a questo fatto esistono sensibilità diverse. Ed accettare quindi la volontà di chi preferisce abbreviare l'agonia, lasciare che la natura segua il suo corso senza ricorrere ad artifizi quali la ventilazione o l'alimentazione forzata. Che poi si voglia chiamarlo suicidio assistito o eutanasia o (come la chiamerei io) morte naturale, poco importa, sono solo nominalismi. La verità, semplice, è c'è chi, sorretto da incrollabili convinzioni, vorrebbe seguire un percorso di resistenza ad oltranza. Altri che preferiscono lasciar fare alla natura. Perchè una delle due posizioni dovrebbe essere più accettabile dell'altra? Perchè la legge dovrebbe imporre uno dei due comportamenti?

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