24 gennaio 2009

Un treno per Auschwitz

Ieri sera al Liceo di Cassano d'Adda è stata organizzata una proiezione nell'ambito delle celebrazioni della Giornata della Memoria. Il film proiettato è stato "Un treno per Auschwitz", un documentario interessantissimo sul viaggio che alcuni studenti e professori hanno fatto in quel posto tremendo. Il documentario racconta l'orrore del campo di concentramento visto attraverso gli occhi degli studenti, al momento della partenza, durante il viaggio, sul posto ed al ritorno.
Si possono vedere questi ragazzi cambiare, diventare di momento in momento più partecipi. Carlo Lucarelli accompagna i ragazzi, e li aiuta a meglio mettere a fuoco le loro sensazioni.
Ogni anno queste commemorazioni scatenano delle domande che non sono rituali: "come è stato possibile?". Lo diciamo come se si trattasse di un evento eccezionale, e tutto sommato lo è stato, ma solo nei numeri. Nell'orrore dell'approccio industriale, dello sterminio a ciclo continuo. Ma temo che il germe che ha portato a questa follia collettiva sia in realtà in mezzo a noi, ogni giorno in mezzo a noi.
Lo riconosco nella indifferenza, anzi, nel fastidio con cui tanta gente intorno a noi guarda alla sofferenza di persone che sentono "diverse".
Qualche sera fa avevo a cena alcuni amici. Ed il discorso è scivolato sul conflitto israelo-palestinese. Alcuni di noi avevano posizioni contrastanti, faticose, non sapendo bene da che parte stare. Riconoscendo torti e ragioni da entrambe le parti. Uno di noi invece aveva le idee molto chiare: "Li devono sterminare tutti. I palestinesi sono dei bastardi, sono anni che fanno attentati e buttano razzi contro gli israeliani. Ora hanno eletto Hamas, l'hanno voluto loro, e paghino le conseguenze. E' giusto che gli israeliani li attacchino, e se dovessero anche ammazzarli tutti farebbero solo bene".
Certo, sono rimasto senza parole, senza fiato.
Ma quel che mi ha più colpito, soprattutto a ripensarci, è che ho capito cosa è successo in Germania negli anni 40. Ho capito com'è stato possibile che tanta "gente per bene" si sia trasformata in boia, torturatori, assassini. O, quanto meno, in complici silenziosi. E' bastato applicare questo piccolo orrore verbale, poco per volta, un grammo alla volta, addormentando le coscienze. E' bastato che gli ebrei venissero dipinti come l'elemento di disturbo, i responsabili di ogni disordine, di ogni fastidio. Non responsabili di qualcosa di particolarmente grave, no. Ma fastidiosi, si. E' bastato che una continua campagna di denigrazione attizzasse, poco per volta, l'irritazione della gente per bene. Una goccia oggi, una goccia domani. Attribuire loro responsabilità inesistenti. O sottolineare quelle esistenti. Penso che gli ebrei, come qualsiasi popolo o etnia, abbiano i loro ladri, i loro assassini, i loro truffatori. Qualcuno che sbaglia c'è anche da loro, immagino. Bene, basta prendere i misfatti di queste persone e sottolinearli, enfatizzarli. Non ci sarebbe neanche bisogno di inventare niente. C'è sempre la possibilità di enfatizzare a dovere quello che succede. E così, quando sono state promulgate le prime leggi razziali, in Germania, la gente deve aver pensato "Era ora! Ci hanno proprio rotto le scatole questi maledetti ebrei!". E poi sappiamo cos'è successo.
Non succederà più? Basta celebrare ogni anno la giornata della memoria?
Non lo so, non credo. Credo invece che succeda OGNI GIORNO. Certo, non con la teutonica efficienza di quei giorni tremendi. Niente più treni blindati, niente più campi di concentramento, niente più forni crematori. Quell'orrore, grazie al cielo, non si sta ripetendo. Manca per lo più la volontà di Ma vedo intorno a me gli stessi meccanismi di trasformazione dell'altro in oggetto, in problema, in fastidio. L'essere umano perde la sua sacralità, diventa cosa. Oggi, per quel che ne sappiamo, mancano i tentativi organizzati di eliminazione di un intero popolo. Anche se in posti come il Ruanda ci sono andati terribilmente vicino. Però l'indifferenza della gente di fronte alla sofferenza dei deboli è qualcosa di preparatorio. Il dramma degli ebrei in Germania si è appoggiato su questa indifferenza.
Ho sentito una vecchia registrazione di un deportato da Roma ad Auschwitz. Raccontava del viaggio in treno, da Fossoli (MO) ad Ora (BZ). Due giorni per fare 200km. Stipati in un carro bestiame, senza mangiare, ma soprattutto senza bere. Il treno si fermava in tutte le stazioni. Il treno sostava in banchina, vicino ad altri treni. I soldati controllavano l'accesso ai vagoni. Passaggeri salivano e scendevano dagli altri treni. I bambini piangevano, le mamme urlavano chiedendo acqua. I passeggeri passavano vicino a questo orrore, senza guardare, senza intervenire, senza protestare. Forse se fossero state pecore, mucche, cavalli, qualcuno sarebbe intervenuto. Invece neanche uno sguardo di pietà, di solidarietà. E, attenzione, parliamo di un viaggio di 200km in Italia, dalla provincia di Modena a quella di Bolzano. Erano italiani i fascisti che avevano arrestato e deportato questi sfortunati ebrei, erano italiani i passeggeri che sfioravano la tragedia rinchiusa in quei vagoni, senza nemmeno uno sguardo.
Ci sono mille teorie sulle ragioni che possono aver portato i tedeschi ad accettare questi eventi drammatici. Qualcuno dice che il popolo tedesco non sapeva. Altri fanno appello al carattere disciplinato dei tedeschi. Altri ricordano il martellamento della propaganda nazista che potrebbe aver fortemente condizionato la capacità di giudizio di quel popolo.
Penso che tutte queste spiegazioni possano avere avuto un qualche peso.
Eppure io penso che qualcosa rimanga da spiegare. Mi riferisco a quell'atteggiamento di fastidio verso tutto quanto viene ad alterare il nostro equilibrio. Fastidio verso il lavavetri, verso lo zingarello che chiede l'elemosina, verso i musulmani che pregano sul marciapiedi. Fastidio anche, in parte giustificato, verso gli immigrati che delinquono, che stuprano, che rubano. Fastidio che viene esteso, tout court, agli immigrati tutti. O ai musulmani tutti. E il fastidio diventa rifiuto. Diventa quello stato d'animo che, negli anni 30 e 40, fu la preparazione del silenzio, della complicità. I tedeschi hanno finto di non vedere, hanno preferito non vedere, non sapere. In fondo i nazisti li liberavano di un "fastidio". Ebrei, zingari, handicappati, omosessuali, comunisti. Tutta gentaglia fastidiosa, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. E così i nazisti ebbero la mano libera, per sterminare milioni di gente fastidiosa.
Certo, possiamo trovare tutte le attenuanti possibili, e forse con qualche ragione. Ma non importa stabilire se i tedeschi siano o meno stati complici dei nazisti. Importa invece sapere quanta di quella indifferenza, quanta di quella vischiosa complicità, sia pronta nelle nostre case, nelle nostre strade. Cosa succederà, quando verrà un altro grande uomo? Quando la memoria degli anni 40 si sarà diluita, quando saranno scomparsi tutti coloro che hanno vissuto quel periodo. Quando la gente sarà infastidita da questi insignificanti giorni della memoria? Cosa impedirà il ripetersi di tutto?

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18 gennaio 2009

La politica è morta?

Mi dibatto spesso, ultimamente, nel tentativo di trovare il pensiero illuminante, la definizione finale, la frase o il pensiero che mi permetta di definire cosa è la destra, in cosa si differenzia dalla sinistra, perché è insensato il tentativo di chi dice che destra e sinistra sono vecchi arnesi arrugginiti del secolo scorso.
In questo periodo, spesso e volentieri sento ripetere questo concetto: "non ha più senso parlare di destra e di sinistra. Dobbiamo fare un passo in avanti, lasciarci alle spalle questi concetti vecchi, legati alle ideologie del secolo scorso, che hanno fatto tanti danni, hanno causato milioni di morti, e non hanno migliorato di un grammo le nostre vite".
La teoria sarebbe affascinante, ma secondo me non sta in piedi.
Ne ho avuto la prova l'altra sera, mentre ero a cena con i miei più vecchi amici.
Siamo scivolati, come sempre, a parlar di politica. Si parlava dei bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza. Uno dei miei amici, spazientito, ha detto che si, facevano bene gli israeliani. Avrebbero dovuto bombardarli tutti, senza pietà, e cancellare il problema palestinese alla radice.
Abbiamo tentato, in due, di introdurre altri elementi nel discorso. Di spiegare la difficoltà di chi, nel corso della sua stessa vita, ha visto arrivare un popolo estraneo, e l'ha visto prendere possesso del proprio territorio. Di chi è nato da pochi anni in un posto senza speranza, senza lavoro, senza libertà di andare a scuola, all'ospedale, senza poter uscire dalla propria città per andare a coltivare i propri campi. Abbiamo tentato, senza riuscire, a spiegare anche le ragioni dell'altro.
Lui riusciva a vedere solo le giustissime ragioni di chi ha dovuto subire, per decenni, il terrorismo e le aggressioni di eserciti confinanti che negano il suo diritto all'esistenza. Accusando il popolo di non sapersi ribellare a governanti-terroristi.
Non voglio qui analizzare la questione palestinese, non ne avrei la capacità e la competenza. Ma quella serata mi ha lasciato la sensazione di una profonda incomunicabilità fra due diverse concezioni di percepire il mondo e i problemi della gente. In ogni conflitto si stabiliscono in maniera quasi automatica due posizioni.
Se si parla del conflitto arabo-israeliano, viene automatico schierarsi da una parte o dall'altra.
Se si parla della tragedia della thyssen, c'è chi si schiera automaticamente dalla parte dei lavoratori. E c'è chi invece, nonostante la drammaticità della situazione che sembra commentarsi da sola, riesce a trovare i motivi per mettersi dalla parte dei dirigenti industriali. A questo proposito, sul sito web del quotidiano ilGiornale, ho trovato commenti di chi diceva che "la colpa è dei sindacati che esercitano forti pressioni per impedire la chiusura delle aziende. I dirigenti, messi sotto pressione, sono costretti a tenere aperte le aziende risparmiando sulla sicurezza e sulla manutenzione". Giuro.
Per questo penso ormai che ci sia proprio una struttura mentale, che impedisce di vedere le ragioni dell'altro e che ci fa schierare a favore dell'una o dell'altra parte.
Io sono terrorizzato da questo meccanismo, perché non vorrei trovarmi, da sinistra, ad ignorare le ragioni dell'altro. Penso che questa incapacità rappresenti in ogni caso una sconfitta.
Ma ad ogni modo non rinuncio a schierarmi, politicamente, a favore dei più deboli, di quelli che fanno più fatica a vivere. Cercando di non perdere di vista le ragioni degli altri, che pure esistono.
Per questo non riesco ad accettare il discorso di chi vorrebbe abolire la stessa idea di questa differenza. Non è vero che destra e sinistra sono categorie obsolete. Non lo sono e non lo saranno finché ci saranno i forti e i deboli. Finché i più intelligenti e capaci o magari solo ricchi saranno in grado di organizzare il lavoro dei meno dotati, meno forti, o magari semplicemente più poveri.
Ci saranno sempre stratificazioni sociali. E i rapporti fra le stratificazioni sociali avranno sempre una componente conflittuale. E ci sarà sempre bisogno di una mediazione fra due parti, di un qualche meccanismo per comporre i conflitti. Vetero marxismo? Può darsi. Infatti penso che quegli strumenti di analisi siano ancora del tutto validi, e che varrebbe la pena di prendere gli scritti di allora e dargli una rispolverata.
Oggi, invece, c'è chi tenta di proporsi come soluzione ai problemi di tutti. Sono proprio coloro che ci raccontano che la destra e la sinistra sono concetti superati. Ci sono parti politiche che ci dicono "vota per me, io saprò prendermi cura delle tue esigenze, qualunque esse siano". Non è vero. Una parte politica può, certo, saper dare un impulso positivo alla nazione. Creando una ricchezza che ricade su tutti. Ma questo può essere vero solo in momenti di particolare difficoltà. Normalmente c'è bisogno di un rapporto dinamico, anche conflittuale, fra diverse e contrastanti esigenze. Gli interessi dei lavoratori non saranno mai gli stessi degli imprenditori. E nessuna delle due parti saprà calarsi così bene nelle vesti dell'altra parte, per capirne i profondi bisogni e farsene carico. Difficilmente l'imprenditore saprà capire i bisogni del lavoratore fino in fondo. Tenderà sempre a sottovalutarli e a sopravvalutare i propri. A volte esisterà proprio il problema di non riuscire a conoscere i bisogni dell'altro. I lavoratori, ad esempio, difficilmente potranno capire tutte le difficoltà di creare un'azienda, di gestirla, di doversi confrontare con le normative ingestibili, con le difficoltà di ogni tipo. L'imprenditore conosce tutte queste difficoltà, ma tende a sopravvalutarle e nel frattempo a sottovalutare le difficoltà di vita di chi deve tirare avanti la famiglia con 800-1000eu al mese. Non basta immaginare. Bisogna proprio provarci. O quanto meno vivere a diretto contatto con chi vive queste difficoltà, toccare con mano cosa significa non andare dal dentista per poter pagare i libri dei ragazzi, o fare la spesa al discount, dove si sa che la qualità del cibo è scarsa, perchè altrimenti non si tira la fine del mese. Chi vive in maniera agiata, senza problemi di sopravvivenza, non può calarsi nei panni dell'altro.
E non credo possa esistere una parte politica in grado di farsi carico dei problemi di entrambi. Anche perchè, banalmente, le parti politiche vivono, o dovrebbero vivere grazie al sostegno economico degli strati sociali che rappresentano. La destra, da sempre, rappresenta il mondo degli industriali, dei professionisti, di quelli che, con grande approssimazione, potremmo chiamare "i forti". Costoro, ovviamente, si aspettano dalla destra la difesa delle loro istanze.
Per la sinistra dovrebbe valere lo stesso concetto. La sinistra dovrebbe ricevere supporto e finanziamenti dai "deboli". Tipicamente dai lavoratori. E rappresentarne le istanze.
Vero è che tutto questo sta cambiando, nel senso che i lavoratori, come li intendevamo, stanno scomparendo. La terziarizzazione sta trasformando i lavoratori in padroncini, dando loro l'illusione di essere altrettanti piccoli industriali. Privandoli, in realtà, dei loro diritti, senza dar loro alcun vantaggio. E infatti assistiamo ad un momento di confusione in cui sono proprio i lavoratori a votare in buon numero per la destra. E' un momento di confusione di ruoli in cui la sinistra cerca di invadere il campo della destra, scalando le banche, stringendo strane alleanze con alcuni settori del mondo industriale. E in cui la destra si propone come paladina delle istanze dei ceti più deboli. A me pare che tutto questo generi una confusione in cui rischiamo di perdere la bussola delle appartenenze.

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