18 gennaio 2009

La politica è morta?

Mi dibatto spesso, ultimamente, nel tentativo di trovare il pensiero illuminante, la definizione finale, la frase o il pensiero che mi permetta di definire cosa è la destra, in cosa si differenzia dalla sinistra, perché è insensato il tentativo di chi dice che destra e sinistra sono vecchi arnesi arrugginiti del secolo scorso.
In questo periodo, spesso e volentieri sento ripetere questo concetto: "non ha più senso parlare di destra e di sinistra. Dobbiamo fare un passo in avanti, lasciarci alle spalle questi concetti vecchi, legati alle ideologie del secolo scorso, che hanno fatto tanti danni, hanno causato milioni di morti, e non hanno migliorato di un grammo le nostre vite".
La teoria sarebbe affascinante, ma secondo me non sta in piedi.
Ne ho avuto la prova l'altra sera, mentre ero a cena con i miei più vecchi amici.
Siamo scivolati, come sempre, a parlar di politica. Si parlava dei bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza. Uno dei miei amici, spazientito, ha detto che si, facevano bene gli israeliani. Avrebbero dovuto bombardarli tutti, senza pietà, e cancellare il problema palestinese alla radice.
Abbiamo tentato, in due, di introdurre altri elementi nel discorso. Di spiegare la difficoltà di chi, nel corso della sua stessa vita, ha visto arrivare un popolo estraneo, e l'ha visto prendere possesso del proprio territorio. Di chi è nato da pochi anni in un posto senza speranza, senza lavoro, senza libertà di andare a scuola, all'ospedale, senza poter uscire dalla propria città per andare a coltivare i propri campi. Abbiamo tentato, senza riuscire, a spiegare anche le ragioni dell'altro.
Lui riusciva a vedere solo le giustissime ragioni di chi ha dovuto subire, per decenni, il terrorismo e le aggressioni di eserciti confinanti che negano il suo diritto all'esistenza. Accusando il popolo di non sapersi ribellare a governanti-terroristi.
Non voglio qui analizzare la questione palestinese, non ne avrei la capacità e la competenza. Ma quella serata mi ha lasciato la sensazione di una profonda incomunicabilità fra due diverse concezioni di percepire il mondo e i problemi della gente. In ogni conflitto si stabiliscono in maniera quasi automatica due posizioni.
Se si parla del conflitto arabo-israeliano, viene automatico schierarsi da una parte o dall'altra.
Se si parla della tragedia della thyssen, c'è chi si schiera automaticamente dalla parte dei lavoratori. E c'è chi invece, nonostante la drammaticità della situazione che sembra commentarsi da sola, riesce a trovare i motivi per mettersi dalla parte dei dirigenti industriali. A questo proposito, sul sito web del quotidiano ilGiornale, ho trovato commenti di chi diceva che "la colpa è dei sindacati che esercitano forti pressioni per impedire la chiusura delle aziende. I dirigenti, messi sotto pressione, sono costretti a tenere aperte le aziende risparmiando sulla sicurezza e sulla manutenzione". Giuro.
Per questo penso ormai che ci sia proprio una struttura mentale, che impedisce di vedere le ragioni dell'altro e che ci fa schierare a favore dell'una o dell'altra parte.
Io sono terrorizzato da questo meccanismo, perché non vorrei trovarmi, da sinistra, ad ignorare le ragioni dell'altro. Penso che questa incapacità rappresenti in ogni caso una sconfitta.
Ma ad ogni modo non rinuncio a schierarmi, politicamente, a favore dei più deboli, di quelli che fanno più fatica a vivere. Cercando di non perdere di vista le ragioni degli altri, che pure esistono.
Per questo non riesco ad accettare il discorso di chi vorrebbe abolire la stessa idea di questa differenza. Non è vero che destra e sinistra sono categorie obsolete. Non lo sono e non lo saranno finché ci saranno i forti e i deboli. Finché i più intelligenti e capaci o magari solo ricchi saranno in grado di organizzare il lavoro dei meno dotati, meno forti, o magari semplicemente più poveri.
Ci saranno sempre stratificazioni sociali. E i rapporti fra le stratificazioni sociali avranno sempre una componente conflittuale. E ci sarà sempre bisogno di una mediazione fra due parti, di un qualche meccanismo per comporre i conflitti. Vetero marxismo? Può darsi. Infatti penso che quegli strumenti di analisi siano ancora del tutto validi, e che varrebbe la pena di prendere gli scritti di allora e dargli una rispolverata.
Oggi, invece, c'è chi tenta di proporsi come soluzione ai problemi di tutti. Sono proprio coloro che ci raccontano che la destra e la sinistra sono concetti superati. Ci sono parti politiche che ci dicono "vota per me, io saprò prendermi cura delle tue esigenze, qualunque esse siano". Non è vero. Una parte politica può, certo, saper dare un impulso positivo alla nazione. Creando una ricchezza che ricade su tutti. Ma questo può essere vero solo in momenti di particolare difficoltà. Normalmente c'è bisogno di un rapporto dinamico, anche conflittuale, fra diverse e contrastanti esigenze. Gli interessi dei lavoratori non saranno mai gli stessi degli imprenditori. E nessuna delle due parti saprà calarsi così bene nelle vesti dell'altra parte, per capirne i profondi bisogni e farsene carico. Difficilmente l'imprenditore saprà capire i bisogni del lavoratore fino in fondo. Tenderà sempre a sottovalutarli e a sopravvalutare i propri. A volte esisterà proprio il problema di non riuscire a conoscere i bisogni dell'altro. I lavoratori, ad esempio, difficilmente potranno capire tutte le difficoltà di creare un'azienda, di gestirla, di doversi confrontare con le normative ingestibili, con le difficoltà di ogni tipo. L'imprenditore conosce tutte queste difficoltà, ma tende a sopravvalutarle e nel frattempo a sottovalutare le difficoltà di vita di chi deve tirare avanti la famiglia con 800-1000eu al mese. Non basta immaginare. Bisogna proprio provarci. O quanto meno vivere a diretto contatto con chi vive queste difficoltà, toccare con mano cosa significa non andare dal dentista per poter pagare i libri dei ragazzi, o fare la spesa al discount, dove si sa che la qualità del cibo è scarsa, perchè altrimenti non si tira la fine del mese. Chi vive in maniera agiata, senza problemi di sopravvivenza, non può calarsi nei panni dell'altro.
E non credo possa esistere una parte politica in grado di farsi carico dei problemi di entrambi. Anche perchè, banalmente, le parti politiche vivono, o dovrebbero vivere grazie al sostegno economico degli strati sociali che rappresentano. La destra, da sempre, rappresenta il mondo degli industriali, dei professionisti, di quelli che, con grande approssimazione, potremmo chiamare "i forti". Costoro, ovviamente, si aspettano dalla destra la difesa delle loro istanze.
Per la sinistra dovrebbe valere lo stesso concetto. La sinistra dovrebbe ricevere supporto e finanziamenti dai "deboli". Tipicamente dai lavoratori. E rappresentarne le istanze.
Vero è che tutto questo sta cambiando, nel senso che i lavoratori, come li intendevamo, stanno scomparendo. La terziarizzazione sta trasformando i lavoratori in padroncini, dando loro l'illusione di essere altrettanti piccoli industriali. Privandoli, in realtà, dei loro diritti, senza dar loro alcun vantaggio. E infatti assistiamo ad un momento di confusione in cui sono proprio i lavoratori a votare in buon numero per la destra. E' un momento di confusione di ruoli in cui la sinistra cerca di invadere il campo della destra, scalando le banche, stringendo strane alleanze con alcuni settori del mondo industriale. E in cui la destra si propone come paladina delle istanze dei ceti più deboli. A me pare che tutto questo generi una confusione in cui rischiamo di perdere la bussola delle appartenenze.

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12 novembre 2008

L'ambulanza

Parlavo proprio oggi, con un amico, del PD e dei tanti errori che commettono i suoi dirigenti, e delle lotte interne, e della mancata opposizione, e di quanto vorremmo un vero partito di centro sinistra, una vera alternativa.
Io mi sono esibito nel solito numero de "non ci sono valide alternative".
Lui ha replicato (mossa standard numero 15) dicendo che ne ha le palle piene di chi gli propone una soluzione inaccettabile con la scusa che altrimenti è peggio.
Certo.
Allora, prevedibilmente, ho fatto ricorso ad una metafora.
Hai avuto un incidente stradale. Sei per terra, in mezzo all'incrocio, piuttosto malconcio, ma ancora cosciente.
Vedi arrivare un'ambulanza decrepita, guidata da uno che ti pare bollito.
Dici "NO! Io su quella ambulanza non ci salgo. Secondo me si guasta dopo 100 metri, e poi avete visto chi la guida? Quello non sa neanche dov'è l'ospedale!".
Perfetto.
Il vero problema è che non ci sono altre ambulanze.
Anzi, no. Ce n'è una. Sembra lucida e splendente. In realtà è fatta di cartone, e la guida il dottor Mengele.
A te la scelta.
Prevedibilmente Marloc (il mio amico) ha risposto: "Si, vabbene. Ma il vero problema è che l'ambulanza la vogliono guidare sempre loro. E se mi avvicino dicendo 'guido io' mi fanno cenno di no con la manina. E se mi avvicino dicendo 'beh, posso almeno cambiare le gomme, pulire il filtro, riparare le lampadine bruciate' mi dicono 'no, ci pensiamo noi' . In questo modo l'ambulanza è destinata ad essere una fetenzia poco adatta allo scopo".
Discorso sensato, a prima vista.
Peccato che la realtà sia un'altra.
La realtà è che, per uscir di metafora, gente come D'Alema e Veltroni, che non brillano per lucidità ed intuito politici, per capacità organizzativa, per carisma, vengono sempre lasciati soli a dirigere la baracca.
Nel senso che l'unico modo per salire sull'ambulanza, per ripararla, per renderla efficiente, è quella di partecipare in massa alla vita politica.
Se ci fosse, nel PD, un'invasione di milioni, di miliardi di giovani che dicessero: "Sai cosa? Adesso ci siamo noi, e voi potete andare a riposo!", la cosa cambierebbe.
Se i giovani, invece di tenersi lontani dalla politica, come se davvero fosse una cosa sporca, decidessero di partecipare IN TANTI, fino ad occupare FISICAMENTE gli spazi della politica, allora si che le cose cambierebbero!
Se invece di stare FUORI, i giovani ENTRASSERO nei palazzi della politica, e gentilmente accompagnassero all'uscita tutti coloro che non hanno saputo fare un'opposizione come dio comanda, tutti coloro che in qualche modo hanno scheletri nell'armadio, precessi pendenti o passati, collusioni con poteri poco amici del popolo, migliaia di nomine in inesistenti consigli di amministrazione...
Me li vedo, centinaia di giovani, presentarsi nei teatri, nelle piazze, dove si esibiscono le vecchie cariatidi del PD. E occupare fisicamente questi luoghi. Con dolce determinazione.
Ma se invece i giovani guardano da fuori, schifati, dicendo "è tutto marcio", beh, vuol dire che decidono di lasciare il loro futuro nelle mani di noi 50enni, 60enni, 70enni. Che abbiamo mille incrostazioni, mille interessi laterali, poca energia per innovare.
Mi verrebbe da dire "peggio per loro". Ma mi dispiace. Davvero tanto.

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19 novembre 2007

Le riunioni del Comitato di Cascine

Non ho ancora scritto una parola sull'ultima riunione del Comitato di Cascine, tenutasi ormai due settimane fa, il 5 novembre 2007. Non ho scritto una parola perchè ho voluto riflettere molto prima di scrivere. Lasciar decantare. Provo a scrivere adesso, nel modo più asettico possibile.
Pochi i presenti, come al solito, meno del solito. Una decina scarsa di persone.
Gli argomenti sono quelli più caldi per la nostra frazione, ossia la BreBeMi, la Ferrovia, la Scuola.
Questa volta però le notizie vere erano poche. Il consigliere Riva ed il vicesindaco Conforti sembravano esitanti, abbottonati.
Alla fine è stato il Vicesindaco Conforti a parlare chiaro, e a dire più o meno che non era disposto a raccontare i risultati degli incontri con i vari enti (BreBeMi, Ferrovie, Regione) e delle varie trattative, se poi queste informazioni finivano sul blog del Randazzo.
E' stato un bene che questo argomento sia finalmente venuto a galla. Erano mesi che questa polemica della riservatezza e del blog si trascinava, senza mai diventare evidente.
L'abituale franchezza del Vicesindaco Conforti ci ha aiutato ad uscire da questa situazione indeterminata.
Con pacatezza il consigliere Riva mi ha fatto notare che a volte può essere controproducente pubblicare sul Blog notizie che riguardano trattative ancora in fieri, e che potrebbero quindi falsare il risultato delle trattative in corso.
Il discorso non fa una grinza.
Resta però l'esigenza di informare tutti coloro che, pur non partecipando alle riunioni di Comitato, sono interessati agli argomenti trattati ed agli sviluppi delle varie trattative.
Si dovrebbe trovare un giusto equilibrio fra le comprensibili esigenze di riservatezza e la altrettanto comprensibile voglia di essere informati.
Purtroppo su questo punto non si è fatta la sufficiente chiarezza. La mia proposta è stata quella di segnalare, durante le riunioni, gli argomenti da tenere riservati, lasciando per gli altri la massima libertà di pubblicazione.
E' stata fatta nuovamente la proposta di acquistare o realizzare una bacheca da posizionare possibilmente di fronte alla chiesa, sul recinto dell'oratorio, per rendere pubbliche le convocazioni ordinarie e straordinarie del comitato, gli ordini del giorno, e magari (perchè no?) un piccolo riassunto delle cose dette (quelle che si possono dire, ovviamente!).
Sarebbe un segno di rispetto nei confronti dei cittadini.
E' emersa poi una nota polemica nei confronti di tutti quei cittadini che chiedono di essere informati (magari al bar) ma che non muovono mai un passo per partecipare alle riunioni di comitato.
Personalmente penso che ognuno viva la politica con le modalità che più gli si addicono. Non tutti sono fatti per le riunioni politiche, per i comitati, per le assemblee. Alcuni preferiscono semplicemente tenersi informati, riservandosi di partecipare solo agli avvenimenti più importanti, come le assemblee o le elezioni. Mi pare un atteggiamento del tutto legittimo, che non vada sanzionato. Non mi pare sia giusto dire: "Se vuoi sapere le cose, vieni alle riunioni, altrimenti arrangiati".
Un'ultima parola sulla "politica". Io continuo a definire politiche le nostre riunioni. Altri continuano a definirsi "apolitici" o addirittura "schifati dalla politica". Bisognerebbe fare una piccola riflessione, a questo proposito. E' "politica" ogni azione rivolta alla cosa pubblica, alla città, alla "polis". Sono politiche le nostre riunioni dove si cercano soluzioni ai problemi che ci assillano. E' politica cercare di proteggere la nostra frazione dagli effetti nefasti del rumore delle ferrovie (Sindaco???) o dall'inquinamento globale della BreBeMi. E' politica occuparsi di scuole e di strade. Tutto ciò che riguarda le nostre vite di cittadini è politica. Penso che molti dovrebbero smettere di candidarsi a ruoli di guida del paese e poi rivendicare orgogliosamente un'assurda ed improbabile distanza dalla politica.

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24 luglio 2007

11 luglio 2007 - Pensioni, scalone e politica.

L'altra sera stavo guardando il telegiornale, e come al solito parlavano di pensioni, di tensioni nel governo, di scalini e scalone. Senza accorgermente, mi sono girato sbuffando ed alzando le spalle. Mi moglie ha visto questo mio movimento di stizza e mi ha detto: "Ma non pensi che la questione ci riguardi tutti? Non ti sembra importante l'argomento pensioni?".

La sua osservazione mi ha costretto a fare mente locale, a mettere a fuoco i miei pensieri, a cercare di capire il perchè di questo mio moto di stizza.

Mi picco di essere un osservatore appassionato della politica. Sostengo, da sempre, la necessità come dovere sociale di seguire la politica, che è quella che, nel bene o nel male regola le nostre vite. Tutto quel che ci circonda è frutto di decisioni politiche. I campi coltivati, la scuola dei nostri figli, gli ospedali, le strade, le pensioni, i treni. Rinunciare ad occuparsi di politica vuol dire rinunciare a capire i meccanismi che regolano le nostre vite. Non dico che su questi meccanismi si possa incidere, perchè per noi gente comune l'unica arma, ormai spuntata, è quella del voto. Soprattutto da quando ci hanno tolto la possibilità di scegliere il candidato per cui votare. Ma per lo meno possiamo capire, parlare, discutere, organizzare nel nostro piccolo il consenso o il dissenso.

E allora, da cosa nasce questo disinteresse per un argomento che, a 54 anni e senza ricchezze da parte, dovrebbe interessarmi moltissimo?

Il fatto è che da qualche tempo ho la sensazione che le grandi discussioni politiche siano fumo. Non in assoluto, ma relativamente al momento in cui viviamo. E' come, sul titanic che affonda, preoccuparsi per la cottura della bistecca. La vuoi ben cotta o al sangue?

La coperta è corta. Se aumentano le pensioni, se diminuiscono lo scalone, servono risorse. Le troveranno, ad esempio, togliendole alla sanità, o alla scuola. O ritardando il finanziamento delle opere pubbliche. O aumentando le tasse ai lavoratori o agli industriali. In ogni caso, quel che danno con una mano, lo tolgono con l'altra. Certo, ci dicono, si può sempre recuperare l'evasione fiscale. Ma ci vogliono energie politiche per farlo. E la nostra classe politica non brilla per energia. Tutta, da qualsiasi parte.

Se mi aumentano la pensione, ma quando vado in ospedale non trovo le strutture adeguate, a che mi serve? E se mio figlio non trova lavoro, a che mi serve? E se mi aumentano la benzina, a che mi serve?

E allora la risposta è che dobbiamo trovare le risorse. Dobbiamo migliorare l'efficienza del sistema Italia. Per finanziare lo stato sociale e la ripresa, occorre che finalmente la macchina politica e pubblica inizi a marciare in modo efficiente. Occorre che (unica cosa che mi piaceva nel programma di Berlusconi) vengano semplificate le leggi, le imposte, la burocrazia. A quanti punti percentuali di riduzione fiscale corrisponderebbe una reale riduzione del carico burocratico e legislativo? Quali risparmi avrebbe l'imprenditoria se dovesse confrontarsi, a parità di peso fiscale, con meno leggi e meno adempimenti burocratici? Dobbiamo diminuire i costi della politica. Elminare tutte quelle società statali o miste che servono a dare ricche ed inutili posizioni a politici decotti. Dobbiamo eliminare le migliaia di fasulli consigli di amministrazione. Dobbiamo mettere nei posti chiave manager competenti che abbiano stipendi decorosi, ma non stellari. E commisurati ai risultati.

Sembrano i soliti discorsi che oggi vengono definiti "qualunquisti" e "antipolitici". Ma a me invece pare che si tratti di desiderio di poter tornare a parlare davvero di politica. Oggi non si può, perchè tutto ci sta crollando addosso.

Nel momento in cui qualsiasi opera pubblica costa almeno il doppio, ma anche il triplo o più rispetto agli altri paesi europei, è facile capire dove vanno a finire le risorse che poi mancano per le pensioni e per la sanità e la scuola e tutto il resto. Nel momento in cui tutto quel che è "politica", in italia costa incredibilmente di più rispetto agli altri paesi europei, come speriamo di poter risollevare la testa, di poter diminuire l'età della pensione o di aumentare le risorse per la scuola e la ricerca?

Ci dicono che, con l'aumentare della vita media, dobbiamo anche aumentare l'età pensionabile. Non nego una certa astratta validità a questi ragionamenti. Ma il costo di un anno in più o in meno delle nostre pensioni è una goccia d'acqua se confrontato al mare degli sprechi, della corruzione, dei costi assurdi della politica.

La domanda, banalmente, è questa: e' davvero inevitabile tutto questo? Dobbiamo, davvero e per forza, accettare questi costi assurdi? E' davvero ineluttabile tutto ciò? Quando parlo con la gente intorno a me, tutti sembrano rassegnati. Tutti mi guardano come si guarda un povero illuso. Ma io ritengo davvero assurdo il fatto che a me si debba chiedere, ad esempio, di andare in pensione qualche anno dopo, mentre la riduzione dei costi della politica sembra una costante naturale, come il pi-greco.

Siamo inseriti in una competizione internazionale, con paesi vicini a noi che hanno un livello di efficienza molto maggiore del nostro. Con leggi più snelle, con costi della politica incredibilmente più bassi. Dove lo stato funziona meglio, dove le opere pubbliche costano la metà delle nostre o meno. Come speriamo di competere, in questo contesto? Davvero pensiamo di farlo tagliando qualche anno di pensione?

A questo proposito può essere interessante leggere questo articolo di Walter Veltroni.

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