02 gennaio 2010

Sixth sense - il computer senza schermo, tastiera e mouse


Chiudi gli occhi e pensa ad un computer. Se non sei giovanissimo immagini un monitor, una tastiera, un mouse. Se sei un ragazzino immagini un cosino leggero, un miniportatile con tutto integrato, che quando lo chiudi è più piccolo e leggero del diario scolastico.
Dimentica tutto.
Il futuro che verrà è un'altra cosa, ed è persino difficile definirlo un computer. L'hanno inventato quelli del MIT ed è qualcosa che si indossa. Una telecamera vede tutto quel che vede chi lo porta. Vede anche le sue mani. Un proiettore proietta le immagini su qualsiasi superficie: le mani, il muro, la maglietta di un amico. Il mouse è sostituito da quattro anelli di plastica colorata indossati dall'utente.
Muovere le mani in modo intuitivo per scattare foto, fare chiamate telefoniche, proiettare la mappa, ingrandirla, spostarla a piacere.
Il programma innovatiON, su La7, ne ha parlato diffusamente.
Pare che il prototipo sia costato la bellezza di 200eu, decisamente poco. Ma c'è da scommettere che i primi esemplari che andranno in vendita saranno molto, molto più costosi.
E' solo l'inizio, la tecnologia è ancora rudimentale. Probabilmente i modelli commerciali saranno molto diversi. Ma il futuro è questo. La tastiera, il mouse, sono ormai il passato, sono interfaccie lente e poco intuitive. Il display è scomodo, piccolo, limitato. Il computer imparerà a riconoscere la nostra voce (molto più e molto meglio di quel che sa già fare), i movimenti delle nostre mani. Vedrà quel che vediamo noi, registrerà le immagini della nostra vita. Ci darà le informazioni che ci servono, nel momento in cui ci servono, nel formato più naturale.
La nostra integrazione con le macchine aumenta e diventa più pervasiva.
E' un bene?

Altri link a Sixth sense:
- dal sito del progetto
- video
- video
- Wikipedia (inglese)
- CTNET (inglese)
- New York Times (inglese)

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01 novembre 2009

il trans

Nasce un bel maschietto, e tutti sono felici. Il papà lo guarda con orgoglio, pensando all'erede della sua forza, della sua mascolinità.
Ma il bimbo, crescendo, sembra seguire una strada diversa. Gioca con le bambine, con le bambole, con le pentoline. Non si interessa ai giochi violenti dei maschietti. Dimostra una sensibilità diversa, parla volentieri con la mamma, l'aiuta nelle faccende di casa.
Il papà guarda, non capisce, scuote la testa.
A scuola iniziano i primi problemi. I compagni di scuola, con istintiva cattiveria, lo isolano, lo picchiano, lo deridono. Lo chiamano femminuccia.
Lui preferisce stare con le bambine, le capisce e loro lo capiscono. Diventa il loro confidente preferito, il loro idolo. Ma questo accresce la separazione dal mondo dei maschietti.
Con il passare del tempo questa separazione diventa definitiva. E cresce il malessere. L'adolescenza, difficile per chiunque, per lui diventa un tormento. Non riesce ad identificarsi con l'immagine maschile, e sa di non essere femmina. Il rapporto con i genitori è sempre più complicato, soprattutto con il padre, che ancora cerca in lui il figlio maschio, l'erede della sua mascolinità.
Fa di tutto per conformarsi alle aspettative della società. Prova a seguire la stessa strada percorsa dai suoi coetanei. Non è difficile, per lui, trovare una ragazza. Ha con loro una facilità di rapporto che gli altri maschi non hanno mai avuto, neanche quelli più ricercati. Lui le ragazze le capisce, sa esattamente cosa sognano, cosa desiderano. Ha un successo immediato, ma che lo lascia indifferente. Capisce che il suo rapporto con le ragazze è di tipo diverso, più che altro una affinità. Capisce, finalmente e con fatica, e con dolore, di nascondere una donna dentro di se. Una donna che non sa come far emergere. Inizia ad indossare vestiti femminili, di nascosto. Ma capisce che non è quella la soluzione. Capisce che non sarà mai una donna, e la disperazione diventa la sua compagna. Tenta, spesso, di dimenticare questa sua parte femminile, di ucciderla. Butta via tutti i vestiti e gli accessori femminili che ha accumulato in qualche posto segreto. Si fidanza, forse si sposa, forse mette al mondo figli. Ma l'ossessione femminile torna e torna e torna. Si vergogna, si nasconde. Ma si traveste, esce di notte, di nascosto. Finchè decide di farla finita. Qualcuno si uccide. Altri invece decidono di porre fine solo alla loro parte maschile. E diventano donne. Qualcuno inizia ad andare vestita da donna al lavoro. Qualcuno decide di iniziare il lungo viaggio, chiamato "transizione". Un viaggio allucinante, fra ormoni, interventi chirurgici, terapie psicologiche, esami dei giudici e dei medici.
Qualcuno decide di restare a metà del guado, maschio e femmina, ne maschio ne femmina. Molti, in queste condizioni complicate, non trovano lavoro. In un mondo in cui il lavoro per i giovani sta diventando un miraggio, chi darebbe lavoro ad un uomo/donna, nè uomo nè donna? Alcuni, molti, scelgono la strada della prostituzione.
La transizione vuol dire perdere molti degli amici. Per qualcuno significa perdere la famiglia.
Sul piano sentimentale e sessuale le cose non sono più semplici. I ragazzi, gli uomini la cercano, ma sempre di nascosto. Nessuno è disposto a farsi vedere in giro con un uomo/donna. Nessuno è disposto a presentarsi ai genitori, alla famiglia, con un uomo/donna per fidanzata. E poi il sesso. Lei vorrebbe essere donna, 100% donna. Vorrebbe dimenticare quella parte ancora maschile, quell'ingombro fra le gambe che le impedisce di esprimere completamente la sua natura femminile. E invece gli uomini sembrano essere attratti proprio da quella parte. Ogni incontro con un uomo rischia di diventare un incubo. All'inizio lui è gentile, seducente. Poi, di colpo, si trasforma in una femminuccia, pronto a chiedere alla sua "donna" di tornare ad essere uomo.
E lei viene vede infrangersi il suo sogno femminile. Viene ricondotta, ricacciata nella gabbia della sua condizione maschile.
Due sono le gabbie da cui tenta sempre di uscire, e in cui viene ricacciata.
La gabbia della mascolinità, e quella della prostituzione.
Non importa che lavoro faccia, non importa se sia brava o no, se abbia studiato o no. E' "un trans", e quindi maschio, e quindi prostituta.
E non importa quanto abbia sofferto per raggiungere una plausibile femminilità. NOn sarà mai, almeno, "una" trans. No, sarà sempre e comunque "un trans".
Pensiamoci, quando parliamo di queste persone la cui vita è incredibilmente più difficile della nostra. Pensiamoci. Mostriamo un minimo di rispetto. Chiamole almeno al femminile. Diciamo sempre UNA TRANS.

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L'indifferenza

Siamo rimasti tutti colpiti dall'indifferenza con cui la gente di Napoli ha ignorato l'omicidio di un pregiudicato nel video diffuso dalla procura.
Le cause, le capiamo tutti, sono tante. Prima di tutto la paura. A Napoli molta gente è abituata a sopravvivere solo ignorando gli eventi di malavita che gli avvengono intorno.
Ma poi, secondo me, c'è anche l'abitudine all'orrore.
Una volta l'orrore era un'eccezione. Nelle vite dei nostri nonni l'orrore era una potente suggestione. Veniva raccontato da chi era stato un guerra. Oppure dagli attori di qualche teatro viaggiante, il cui passaggio restava un evento negli anni.
In sicilia l'orrore lo raccontavano i cantastorie.
Era un orrore raccontato, mai visto. Solo in casi assolutamente eccezionali capitava di assistere ad un omicidio, alla morte violenta di qualcuno.
Ma poi il cinema, e la televisione, hanno reso consueto l'orrore della morte violenta.
Oggi tutti abbiamo gli occhi pieni di gente che muore colpita da una pallottola, o massacrata di botte, o torturata, o colpita da una bomba. Siamo abituati all'orrore, non ci sconvolge vedere qualcuno che tranquillamente, mentre esce dal bar, estrae la pistola ed ammazza un poveraccio che stava tranquillamente fumando.
Anzi, rispetto a tanto sangue, a tanto splatter, a tanta esibizione di violenza, questa sembra una cosa pulita, veloce, senza tanto rumore, senza schizzi di sangue. E' quasi un omiciodio educato, riservato. La gente può anche far finta di niente. Abbiamo visto di peggio.

E poi una volta la violenza, quando arrivava, riguardava i nostri vicini, spesso parenti, che conoscevamo da sempre, e non potevamo certo restare indifferenti. Dovevamo intervenire, difendere. E se non potevamo evitare la violenza, ne restavamo colpiti, partecipi, stravolti.
Oggi viviamo in città enormi, circondati da sconosciuti, che spesso parlano un'altro dialetto o un'altra lingua.
La violenza non ci riguarda più perchè colpisce "altri", gente che non conosciamo, che non fa parte della nostra vita. Al massimo ci coinvolge come spettacolo. Ma neanche tanto, perchè siamo abituati a ben altro.
E' un po' come per il calcio. Una partita vista allo stadio avrà anche il suo fascino. Ma la vedi meglio a casa, sul plasma a 50pollici, seduto sul divano con gli amici, e mille telecamere che inquadrano persino le gocce di sudore sulla fronte dei calciatori.
Non c'è niente di interessante in uno che ammazzano al bar sotto casa. Lo vedi meglio in televisione, ti diverti di più.


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31 ottobre 2009

Il limite fra pubblico e privato

Ho letto un interessante articolo di Paolo Flores d'Arcais.
Dice, in estrema sintesi:
Il limite fra pubblico e privato viene stabilito dagli stessi uomini politici.
La sfera privata è sacra, e quel che fa un uomo politico nel suo privato non deve, in alcun modo, diventare di dominio pubblico.
Ma è lo stesso uomo politico che può modificare questa situazione, e spostare il limite fra pubblico e privato. Lo può fare con le sue dichiarazioni, con la sua attività politica.
Nel momento un cui, ad esempio, un uomo politico si impegna politicamente per combattere la prostituzione, i suoi comportamenti privati diventano di interesse pubblico se si viene a sapere che lui stesso fruisce di servizi sessuali a pagamento.
L'omosessualità, ad esempio, è un fatto assolutamente personale.
Ma se il politico fa una campagna politica contro i diritti civili degli omosessuali, ecco che diventa subito di interesse pubblico la sua eventuale omosessualità.
Il politico, ad esempio, che partecipa pubblicamente al "family day", o che fa campagna elettorale presentandosicome paladino dei sacri valori della famiglia, si espone all'attenzione degli elettori quando, in aperta violazione di quelli stessi valori, conduce una vita dissoluta.
E' una questione di coerenza. Chi chiede il voto agli elettori sulla base di alcuni valori etici, si espone alla violazione della sua sfera privata se lui stesso non li rispetta.
Ma è lui stesso, ad avere spostato nel suo caso il limite fra pubblico e privato. Nel momento stesso in cui il politico si propone come paladino di determinati valori, si espone ad una rigorosa analisi pubblica dei suoi comportamenti "non più privati" che violano quegli stessi valori.

Ecco il testo integrale dell'articolo:

Vizi privati, pubbliche bugie
di Paolo Flores d'A rc a i s

Sono mesi che l'organo "colto" del regime berlusconiano, "Il Foglio" di Giuliano Ferrara, accusa il giornalismo-giornalismo di moralismo bigotto e di sessuofobia da beghine, per la campagna sulle escort e il sesso in cambio di "denaro o altra utilità". Eppure Ferrara sa benissimo come stanno le cose, da un punto di vista democratico, laico e perfino libertino. Proviamo a rinfrescargli la memoria. Gli usi e le preferenze sessuali, se tra adulti e consenzienti, sono strettamente privati, per i media dovrebbero essere un tabù, per accontentare Ferrara che ci ritiene dei "giustizialisti" possiamo perfino aggiungere che le punizioni per chi viola tale privacy non saranno mai abbastanza severe. Le eccezioni a questo principio le stabiliscono solo i diretti interessati. Ferrara sa benissimo in che senso: un tempo, prima di diventare un ateo devoto, frequentava filosofia e logica. Esemplifichiamo. Se un politico dichiara che l'o m osessualità è contro natura (non importa se in obbedienza al catechismo di Ratzinger, o per suo "ra gionamento" personale) sottrae questo tema alla sfera della privacy perché ne fa una battaglia politica, e non può quindi impedire l'esame della coerenza, che qualsiasi rappresentato è in diritto di esigere dal suo rappresentante. Di un politico che pratica quello che condanna, il cittadino ha tutto il diritto di non fidarsi, infatti. Analogamente per un politico che abbia dichiarato guerra alla prostituzione, e voglia stabilire o inasprire pene per chi la esercita (magari anche per il cliente). Se viene sorpreso in un rapporto sessuale mercenario e la cosa verrà resa pubblica non potrà indignarsi per la privacy violata, perché quel tema è lui stesso ad averlo reso pubblico, sperando di lucrarvi facili consensi elettorali. Più che mai, se la sua "crociata " si è concentrata solo su alcuni segmenti "estremi " dell'amore a pagamento, le "trans " per dire. La fedeltà coniugale è per antonomasia cosa privata, privatissima, ma cessa di essere tale per un qualsiasi politico che si esibisca in un "family day " o altre indecenti (secondo il mio modesto parere di laico) campagne che mirano a mietere voti proprio col "moralismo ". Non parliamo poi dell'aborto: cosa di più intimo e privato di una decisione che per la donna è comunque dolorosa (ma anche per il suo compagno, spesso)? Eppure, se qualcuno contro l'aborto comincia ad agitare gli strali ratzingeriani dell' "olocausto dei nostri tempi", non potrà lamentarsi nel caso la sua partecipazione ad un aborto, come paziente, come medico, come compagno della paziente, finisca in prima pagina. Sulla privacy, insomma, ciascun politico stabilisce i confini che lo riguardano proprio con la sua attività di politico, a partire dalle scelte con cui trasforma qualche tema di morale personale in una proposta politica, dunque pubblica. Berlusconi, campione del "family day" e delle apologie riccamente illustrate della propria esemplare vita familiare, inviate in decine di milioni di copie in prossimità delle scadenze elettorali, non può dunque invocare nessuna privacy per le orgette nelle sue varie re s i d e n z e . Del resto non è per queste clamorose incoerenze che sembra destinato a perdere voti: la parte dell'Italia che si stringe attorno a lui per continuare ad evadere il fisco e a praticare illegalità piccole e grandi ha sufficiente cinismo per perdonarlo e perfino invidiarlo, anche quando si tratti di elettori ostentatamente baciapile (lo osannano anche quando fa l'apologia del mafioso Mangano, figuriamoci). Nel caso di Berlusconi, semmai, c'è da domandarsi perché non sia mai scattata un'indagine giudiziaria, vista la plateale "n otitia criminis" di qualche mese fa: in tv ("Porta a Porta", se la memoria non mi tradisce) uno dei suoi parlamentari, la onorevole Mussolini, alla domanda "che differenza vede tra Berlusconi e Mussolini", rispose: "mio nonno non ha mai nominato la Petacci min i s t ro ". Confermando con ciò quanto Sabina Guzzanti aveva sottolineato dal palco di piazza Navona, sui "mer iti" extracurriculari di alcune delle ministre in carica. Il commercio di beni pubblici "in cambio di denaro o altra utilità" è fattispecie delittuosa con il nome di "c o n c u ssione" (a meno che non mi sia perso qualche lodoalfani, lodoghedini o legge ad personam nel frattempo intervenuta), e da che mondo è mondo il sesso è la più ricercata "altra utilità". Lo scandalo Marrazzo, invece, non c'entra nulla (non dovrebbe, se i media fossero coerenti) con la sua predilezione per le "t ra n s ". Nasce esclusivamente dal fatto, inaccettabile in un politico, di essersi piegato al ricatto anziché denunciarlo. Eppure, subire un ricatto non è un reato, chi subisce è una vittima. Ma da un politico, giustamente, si pretende qualcosa di più. Ferrara naturalmente non è d'accordo, ha sempre preteso qualcosa di meno: in un dialogo con Piercamillo Davigo (MicroMega, 1/2002, p.140) scriveva infatti: "non è che tu (politico) devi essere capace di ricattare, è che devi essere ricattabile."

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24 luglio 2009

Le grida

Oggi, andando in auto da Milano a Sanremo, ho avuto due piccole avventure degne di nota.
La prima, solamente radiofonica.
Sono incappato in uno di quei programmi giornalistici in cui il conduttore introduce un tema e poi lascia la parola alle telefonate degli ascoltatori.
In questo caso si parlava del vino, e del fatto che le recenti norme repressive nei confronti dell'uso d'alcool per chi guida stanno mettendo in sofferenza un settore che rappresenta una parte importante non solo della nostra economia, ma anche della tradizione alimentare e della cultura. Il tutto rendendo fra l'altro la vita impossibile a chi era abituato a bere un paio di bicchieri a tavola prima di uscire in auto.
Uno degli ascoltatori ha giustamente paragonato questa situazione a quella delle grida manzoniane. Tutti i governi, di qualsiasi parte, continuano ad affrontare i problemi con le grida, con esplosioni normative che servono solo a dare l'impressione che si stia facendo qualcosa. E che scompaiono dopo poco, senza lasciare traccia significativa, se non nel proliferare di normative che si accavallano in una giungla inestricabile.
Così sta succedendo per l'alcool. Si susseguono norme sempre più severe, che lasciano il tempo che trovano, ottenendo in alcuni casi effetti controproducenti. Come quello di rendere il consumo d'alcool più interessante per i giovani, proprio perchè praticamente illegale.
E a proposito di grida, dopo qualche minuto ho fermato la macchina per fare qualche foto. C'è una vecchia chiesa, un borgo, dalle parti di Castelnuovo Scrivia. Lo vedo da anni, e sempre mi riprometto di visitarlo. Ma, come spesso succede, per pura pigrizia ed incapacità organizzativa, il proposito rimane tale. Oggi ho deciso quanto meno di fare qualche foto. Ho fermato la macchina prudentemente in una piazzola di sosta, protetta dal guard rail. Ho acceso i lampeggianti, indossato il regolamente giubbetto fosforescente, ed ho fatto le foto che desideravo. Mentre tornavo all'auto ho visto che, dall'altra carreggiata, arrivava un tecnico dell'autostrada, diretto verso di me. Ha attraversato le carreggiate approfittando di un momento di pausa del traffico, e mi ha chiesto se avessi dei problemi. Ho spiegato che no, nessun problema, volevo solo fare delle foto. "Ecco, appunto. Lei non può fare foto. E' vietato fare foto in autostrada. A me non interessa, lo dico per lei. Perchè se passa una pattuglia le possono creare dei problemi. O anche se lo segnalano a me, allora devo intervenire. Non so spiegarle perchè, ma in autostrada non si possono fare foto".
Ecco, appunto, le grida.
Qualche solerte politico, qualche funzionario, chissà, ha deciso che fare foto in autostrada poteva violare chissà quale principio. Ed ecco che scatta veloce, infallibile, la nuova grida.
Sappiatelo.
Non si possono fare foto in autostrada.
Chissà nelle strade statali...
e in superstrada?
e nei viottoli di campagna?
e nei parcheggi?

Ah, dio mio, le grida....

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10 maggio 2009

Calabresi e Pinelli

Napolitano ha favorito la riconciliazione fra le vedove Calabresi e Pinelli, e i quotidiani di oggi si lanciano in commenti assoriti. Cervi, in un articolo su "ilGiornale", si lamenta perchè l'opinione pubblica ha subito riabilitato Pinelli mentre Luigi Calabresi fu messo alla gogna come «commissario finestra» da un assordante coro di sinistra, non ci furono riabilitazioni se non al livello ufficiale, che conta poco. Parecchi tra coloro che in dichiarazioni, libri, pubblicazioni, testi teatrali si erano scagliati contro il «poliziotto assassino» non hanno sentito il dovere di scusarsi pubblicamente e solennemente. Anzi, alcuni testi di successo di quella abbondante produzione continuano a essere proposti.
Ora io non vorrei fare il solito bastian contrario di una sinistra mugugnona ecc ecc ecc.
Però la verità è che per l'assassinio di Calabresi è stato celebrato un processo che, in modo molto dubbio e fortunoso, ha individurato quattro colpevoli di cui tre condannati. Poi, a vario titolo, usciti di prigione. Ma i responsabili sono stati individuati, processati e condannati.
Per quanto riguarda il povero Pinelli, e con lui tutte le vittime di piazza Fontana, invece, nessuna giustizia. Nessunan condanna, nessun colpevole.
Pinelli è volato fuori da una finestra del quarto piano della questura e nessuno ci ha spiegato come. A parte il povero d'Ambrosio che ha concluso trattarsi di un "malore attivo", espressione usata per la prima volta e mai più per spiegare un volo di quella portata. Si è detto che Calabresi non c'entrava, ed io ci voglio credere. Eppure i dubbi di un interrogatorio piuttosto duro sono rimasti tutti.
Se pacificazione deve essere, resta da chiarire il fatto che tanti terroristi sono passati dal carcere per una stagione di orribili delitti, tutti confessati e rivendicati. Per quanto riguarda invece le bombe, le stragi, e lo stesso Pinelli, silenzio. E tante ombre. Mi pare una pacificazione a senso unico.

01 maggio 2009

Indignazione

Qualche giorno fa ascoltavo, guidando, il giornalista Giuseppe Cruciani su Radio24. Nel suo programma serale Cruciani risponde alle domande dei lettori che riguardano in genere i fatti del giorno.
Quel giorno il nostro premier, parlando a l'Aquila, aveva raccontato per l'ennesima volta la storiella di suo padre che stilava l'elenco delle persone che amano fare del male al prossimo. Nell'elenco erano inseriti i delinquenti, i pm e i dentisti. Ma, diceva il premier, questi ultimi ormai hanno a loro disposizione l'anestesia.
Un ascoltatore, evidentemente infastidito da questa ennesima boutade del premier, era pronto a manifestare la sua indignazione contando sull'approvazione del giornalista al microfono.
Ma Cruciani reagì con il fastidio che spesso riserva a quegli ascoltatori che secondo lui si occupanno di banalità. Disse con tono seccato: "Ma lei vuole che io mi indigni? No, mi dispiace, non mi indigno. Ormai Berlusconi lo conosciamo, è fatto così. Sappiamo che non vede di buon occhio la magistratura."
Già, perchè indignarsi se Berlusconi mette i pm sullo stesso piano dei delinquenti? Perchè indignarsi se li mette frettolosamente nel gruppo di coloro che "amano fare del male al prossimo"? In fondo i pm, facendo parte della magistratura, non rappresentano altro che uno dei tre poteri su cui si basa la nostra democrazia. Ce ne dovremmo occupare?
Perchè indignarsi quando dice che "Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche"? Che male c'è se un capo di governo non crede nella divisione dei poteri e ritiene che uno dei tre poteri sia gestito da psicolabili? Al massimo cercherà di limitare la libertà d'azione di questo potere. Che ci fa?
E infatti, perchè indignarsi quando il suo governo vara una norma che toglie ai magistrati inquirenti il controllo della polizia giudiziaria e quindi la possibilità di indagare? In questo modo il magistrato potrà indagare solo sulle notizie di reato che arrivano dalla polizia, e quindi sotto il controllo dell'esecutivo. A questo punto la magistratura (nella sua parte inquirente) non sarà più indipendente, ma sottoposta al controllo del governo, che potà determinare in quali direzioni indagare, quali indagini bloccare e quali lasciar proseguire.
Perchè indignarsi quando dichiara che il parlamento non serve a niente, e che occorrerebbe far votare solo i capigruppo? In questo modo, dopo aver azzoppato il potere giudiziario, potrebbe liberarsi anche del potere legislativo, asservendolo al potere esecutivo da lui presieduto. Che, se non può essere definita una dittatura tout court, può certo costituirne l'anticamera.
E ancora, perchè indignarsi se il premier, in quanto imperatore del suo partito, decide di candidare al parlamento europeo delle belle ragazze, famose solo per aver battuto qualche tavola di studio televisivo? Dice "ma sono laureate e poliglotte". Sarà, posto che sia. Ma i candidati non dovrebbero essere scelti in base alla loro esperienza politica? Non dovrebbero arrivare dalla gavetta, dall'aver già dimostrato di saper gestire, almeno a livello comunale, le mille problematiche dell'attività politica?
D'altra parte non ci siamo neanche indignati granchè quando abbiamo saputo che Berlusconi aveva uno stalliere poi rivelatosi un campo mafioso, condannato con due ergastoli.
Meno che meno ci siamo indignati quando Berlusconi ha definito "un eroe" lo stalliere mafioso in questione. Pensavamo, sbagliando, che il termine "eroe" fosse da riservare a qualche magistrato magari ucciso per bloccare il suo lavoro di indagine, e per dare l'esempio agli altri inquirenti. Ma già, sappiamo che l'uomo è fatto così, che non ama la magistratura. In fondo che male c'è?
Non ci siamo neanche indignati quando il duo braccio destro, il colto dell'Utri, è stato condannato per mafia. Probabilmente un eroe anche lui.
In altri tempi avremmo potuto indignarci. Tempi in cui come adesso la mafia esisteva e prosperava, d'accordo con la classe politica. Ma almeno nessuno si sarebbe azzardato a parlare di eroismo. Tempi in cui erano chiari, almeno teoricamente, i ruoli di ciascuno.Chi era dalla parte dello stato
Ma adesso abbiamo imparato ad accettare tutto, la nostra pelle si è fatta dura. Guardiamo alle intemperanze di Berlusconi quasi con benevolenza.
Riserviamo a questo personaggio (stavo per scrivere "questo signore", ma le dita si sono bloccate sulla tastiera, rifiutandosi di proseguire) quella divertita tolleranza che si riserva ai geni, quando manifestano l'inevitabile sregolatezza.
Ai grandi pittori, ai grandi calciatori, ai sublimi cantanti, siamo pronti a perdonare qualche intemperanza. In fondo non possiamo pretendere un comportamento normale da una persona eccezionale.
E allora forse siamo pronti ad accettare Berlusconi così com'è, con le sue battute pesanti, con il suo comportamento caciarone nelle riunioni internazionali, con i suoi atteggiamenti maschilisti nei confronti delle signore dei governi stranieri. Lo accettiamo così com'è in cambio del suo genio, applicato alla nostra politica. E' così?
Ma allora c'è da chiedersi in cosa consista questo genio, quale il nostro vantaggio di cittadini. Cosa mettiamo sull'altro piatto della bilancia, per compensare lo svilimento delle istituzioni e la vergogna di essere governati da un personaggio da operetta, pericolosamente contiguo alla criminalità organizzata?
Ci dicono, con faccia annoiata, che siamo molesti, noiosi, e che dovremmo smetterla con questo antiberlusconismo preconcetto.
Me ne accorgo, e non solo quando parlo con persone di destra. Me ne accorgo anche quando parlo con alcuni amici di sinistra. Quando il discorso si sposta su Berlusconi, vedo subito un'aria annoiata, e qualcuno dice in modo esplicito: "Ma siete ancora li? Ancora a parlare di Berlusconi? Non lo volete capire che il popolo lo ama, così com'è? Se siete davvero democratici, come affermate di essere, dovreste rispettare il volere della maggioranza. E la maggioranza ha chiaramente espresso il proprio apprezzamento per Berlusconi ed il desiderio che si smetta di parlare di processi e di tutte queste menate".
Anche da sinistra, spesso sento dire: "Non sarà l'antiberlusconismo a farci vincere, a farci recuperare posizioni. Al contrario, dobbiamo smettere di parlare di Berlusconi. La gente è stufa di sentire parlare contro di lui, vuole proposte e non polemiche".
Queste due argomentazioni, molto ma molto diffuse, descrivono molto chiaramente il clima che si è diffuso nel nostro paese.
Per essere più precisi, queste argomentazioni raccontano il successo, la vittoria di Berlusconi. E' riuscito a banalizzare i comportamenti criminali, tanto che la gente ormai li considera poco più che marachelle da guardare con indulgenza. La mafia? Che sarà mai! Il falso in bilancio? E chi non lo fa, all'occorrenza! Le veline? Beh, a chi non piacciono le belle ragazze?
Berlusconi ha commesso un crimine che sfugge all'attenzione dei più. Ha spostato, impercettibilmente, poco per volta, la percezione del limite fra ciò che è eticamente accettabile e ciò che non lo è. Ha spostato verso il basso la soglia del comune pudore politico e sociale. Non ha solo sdoganato i fascisti. Ha sdoganato, reso quasi accettabile, tutta una serie di comportamenti socialmente censurabili? Le tasse? Beh, quando sono troppe, uno si deve pur difendere! E così via, banalizzando tutto, rendendo tutto accettabile. Berlusconi non farà mai il colpo di stato. Non prenderà mai il potere in modo brusco, violento. L'ha già fatto. Applicando il metodo del paguro, sta occupando la conchiglia vuota della democrazia. Ma, a differenza del paguro, lui non cerca una conchiglia vuota. Ci ha pensato lui, a svuotarla poco per volta.
E infatti noi abbiamo smesso di indignarci, qualunque cosa succeda.

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25 aprile 2009

25 aprile

Ho sentito tante parole sul 25 aprile. Discorsi complicati, che fatico a seguire.
A me pare che si voglia complicare un discorso semplice.
Mussolini si era alleato con Hitler, e ne condivideva le idee totalitarie e razziste.
Gli italiani per lo più hanno seguito Mussolini, come le pecore seguono il pastore.
Poi la guerra ha aiutato la maggior parte degli italiani a capire in che orrore erano caduti.
Nel 43 l'armistizio ha dato agli italiani l'occasione per cercare di rimediare al disastro.
Qualcuno si è limitato a tornare a casa o a leccarsi le ferite.
Qualcuno ha deciso di rischiare la propria vita per dare una mano a cacciare i tedeschi.
Qualcuno ha deciso di restare fedele alle proprie idee e di lottare ancora al fianco dei tedeschi.
Sono scelte che ognuno fa, e delle quali si assume la responsabilità.
Il 25 aprile la maggior parte delle città italiane furono liberate dall'occupazione nazista. La resa incondizionata dell'esercito tedesco fu il 29 aprile.
Dall'8 settembre '43 al 25 aprile '45 si fronteggiarono, in Italia, due fazioni. Da un lato i nazisti sostenuti dai fascisti della Repubblica Sociale Italiana. Dall'altro lato gli eserciti alleati con l'appoggio interno dei partigiani di ogni colore.
Chi stava con i nazisti ne condivideva gli ideali, la politica, la cultura. E si assumeva indirettamente la responsabilità di tutti gli orrori.
Dall'altro lato c'erano quelli che si erano svegliati da un sonno durato vent'anni, o che erano antifascisti da sempre. Che, contrariamente agli altri, credevano nei valori di democrazia e libertà.
Il 25 aprile vinsero gli uni contro gli altri. Non possiamo far finta che non sia successo. Il 25 aprile non può diventare la giornata "di tutti". C'era una grande differenza fra le due parti. Non è che si uccidessero l'un l'altro per caso, per errore, per distrazione.
Chi stava dalla parte di Mussolini e Hitler difendeva quel mondo, quell'esperienza, quel ventennio. Difendeva la dittatura, l'assenza di libertà politica, la persecuzione o l'uccisione degli oppositori, la persecuzione ed il massacro degli ebrei.
Non era per caso che si sceglieva una parte o l'altra.
Certo, qualcuno era molto giovane, e da entrambi i lati non aveva le idee molto chiare. Ma gli altri, la gran parte, sapevano benissimo quel che facevano. Da una parte e dall'altra.
Oggi non si può far finta di dimenticare, e rivendicare il 25 aprile come una festa collettiva, di tutti gli italiani.
No.
Il 25 aprile è la vittoria di chi credeva nella libertà contro chi credeva nella dittatura.
Il 25 aprile è la commemorazione di chi, in questa battaglia, ha perso la vita combattendo contro la dittatura, contro il nazismo ed il fascismo.
Non si può, non oggi, celebrare indistintamente tutti i morti di quel periodo. Non si può, per comodità politica, dimenticare il vero significato di quel giorno.
Chi ritiene che quel giorno sia stato un giorno funesto, un giorno da dimenticare, chi ancora oggi si richiama alla cultura che quel giorno fu definitivamente sconfitta, dovrebbe avere il pudore di non partecipare a queste commemorazioni.
Oggi a Cassano d'Adda è stato festeggiato il 25 aprile, come ogni anno.
C'è stato un bellissimo discorso di Giancarlo Villa, presidente della locale sezione dell'ANPI.
Ha poi preso la parola il sindaco Edoardo Sala. Ma non saprei dire cos'ha detto. Leggeva sottovoce e senza partecipazione parole che si perdevano nel vento senza lasciare traccia. Ho solo notato che, in modo del tutto incongruo, è riuscito ad inserire nelle sue parole il nome del Presidente del Consiglio, noto estimatore della resistenza. Chissà a che titolo. Chissà perchè.
C'era l'assessore alla cultura Albano. Si. Quello stesso Albano di Alleanza Nazionale, che non ha mai fatto mistero delle sue simpatie fasciste. Che poche ore prima, su Facebook, scriveva: "Penso che se togli il 25 aprile alla sinistra non rimane loro nient'altro. Ecco perchè tutti gli anni ne fanno un caso."
Confonde la resistenza con la sinistra. Dimenticando che nella lotta contro i "suoi" fascisti c'erano cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici. Era li, l'assessore alla cultura Albano, un po' defilato. A "celebrare" anche lui non si sa cosa, visto che le sue dichiarate simpatie sono sempre state per la parte che ha perso. Lo si vede nella foto, un po' in ombra, occhiali neri, camicia scura (nera?), fra il vicesindaco Conforti e l'assessore Lomini. Sembra davvero uno che si chiede "Ma che ci sto a fare qui?". Ce lo chiediamo anche noi, Assessore, ce lo chiediamo anche noi.
Ultima notazione: c'era tanta gente, anche giovani. C'era la banda. Ma come mai, dico, come mai la banda ha suonato una marea di inutili marcette e non ha suonato le canzoni della resistenza? Era o non era il 25 aprile? Mah! Miracoli che succedono quando la destra, il 25 aprile, commemora non si sa cosa.

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24 aprile 2009

Santoro, canone RAI e informazione.

Da anni sento ripetere questa litania: "non è giusto che questa gente faccia un uso crimonoso della televisione pubblica, pagata con i soldi dei cittadini, per attaccare tutto e tutti".
L'uso "criminoso" consiste nell'avere idee diverse ripetto all'attuale mainstream governativo, nel dire le cose che altri preferiscono tacere, nel dar voce a chi altrimenti sarebbe condannato al silenzio.
Dice letteralmente Berlusconi: "L'uso criminoso di una televisione pubblica pagata con i mezzi di tutti consiste nell'attaccare gli avversari senza dare a questi avversari la possibilità di una replica, cosa che Santoro continua impunemente a fare anche adesso".
Ci si ripara dietro il dito dell'equilibrio, dicendo che non si dovrebbero fare trasmissioni a senso unico senza contraddittorio.
Come se ogni trasmissione, in se, dovesse realizzare l'equilibrio e rappresentare per ogni argomento tutte le possibili versioni, interpretazioni e valutazioni. E' chiaro che l'osservatore prevenuto avrà sempre da discutere sul fatto che la scelta degli invitati è stata pilotata e non suffientemente rappresentativa di tutte le posizioni, che non a tutti sono stati dati gli stessi tempi, che il montaggio delle immagini televisive era fatto ad arte per indurre nel telespettatore un certo tipo di convinzione, e via elencando quei trucchetti televisivi che ormai conosciamo tutti. E' chiaro che il conduttore televisivo finisce per riversare una parte delle sue convinzioni nel prodotto televisivo.
In questo tipo di argomentazioni ci si riferisce alla gente che paga il canone come ad un unicum, un tutt'uno monolitico. Dimenticando che la gente che paga il canone sarà, come gli elettori, divisa a metà fra destra e sinistra. Alcuni gradiscono i programmi filogovernativi stile Vespa, altri gradiscono programmi di informazione meno allineata, stile Santoro.
Non si capisce perchè gli uni debbano cedere il posto agli altri. I dati di ascolto della trasmissione di Santoro hanno superato il 20%, dato che pare essere eccezionale.
Sappiamo tutti che non vale l'equazione share=qualità, altrimenti dovremmo dire che trasmissioni come il grande fratello, che superano spesso il 25%, sono quelle di maggior qualità.
Ma qui non è in ballo la qualità delle trasmissioni. E' in ballo il diritto di chi paga il canone a veder rappresentate anche le proprie idee e le proprie istanze.
Non si capisce perchè il fatto di pagare gli stipendi di gente come Santoro con soldi pubblici dovrebbe portare alla limitazione della loro libertà di espressione. E soprattutto alla limitazione della mia libertà di telespettatore di vedere anche quel che mi propone Santoro. A me le trasmissioni di Santoro piacciono, mi piace Report della Gabbanelli, mi piace in genere il giornalismo di inchiesta e la riflessione politica. E vorrei avere il diritto di vedere in televisione quel che piace a me e a tanti altri, come documentato dall'Auditel.
La RAI, in quanto TV pubblica, dovrebbe rappresentare le posizioni di tutti coloro che pagano il canone.
A meno che si preferisca un modello di TV pubblica asettica, senza confronto delle idee, tesa ad essere esclusivamente portavoce del governo. Soprattutto quando il governo è di una certa parte.
Sia chiaro, non siamo verginelle. Sappiamo benissimo che la tv pubblica, come tutto il sistema dell'informazione, è attraversata da tremende lotte di potere politico e finanziario. E nessuno è davvero innocente rispetto a queste lotte, a destra come a sinistra.
Ma teorizzare il fatto che tutte le voci dissonanti debbano essere soffocate grazie al fatto che "vengono pagate con i soldi dei contribuenti" mi pare davvero antidemocratico.

Recentemente, in occasione del terremoto a l'Aquila, Santoro è stato aspramente criticato per aver rotto il fronte dell'unanimismo, del volemose bbene, del tutto va ben madama la marchesa. Ha dato voce agli scontenti. A chi, a torto o a ragione, non era soddisfatto della tempestività degli interventi, dell'organizzazione e quant'altro.
Si può essere o meno d'accordo sulla scelta, sull'opportunità. Qualcuno, anche fra i miei amici, dice che nel momento del bisogno occorre stare uniti ed evitare le polemiche. Non voglio entrare in questo tipo di valutazioni.
Resta il fatto che a molti italiani, cittadini, telespettatori, quel taglio di trasmissione è parso adeguato. E questi italiani, cittadini e telespettatori (io fra di loro) hanno il diritto di veder rispettate le loro opinioni ed i loro gusti televisivi. Proprio perchè pagano il canone.

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19 aprile 2009

chi ha avuto ha avuto ha avuto....

Non ho parole per definire quel che ha detto ieri il premier.
Cito da un articolo del corriere:

«Ben vengano le inchieste, ma per favore non perdiamo tempo, impieghiamo il nostro tempo nella ricostruzione e non dietro a cose che ormai sono successe.. Se qualcuno è colpevole pagherà. Ma per favore non riempiano le pagine dei giornali di inchieste"

Come dire (traduco con parole mie): "Chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato, scurdammoce o'passato, simm'e Napule paisà".

Il genio ha aggiunto:

«Un costruttore che realizza una casa in una zona sismica e risparmia su ferro e cemento può essere solo un pazzo o un delinquente. Mio padre diceva una cosa: se uno nasce col piacere di fare del male ha tre scelte: può fare il delinquente, il pm o il dentista. I dentisti si sono emancipati e adesso esiste l'anestesia».

Come dire che uno dei tre poteri su cui si basa la democrazia, parola che davvero lui non sopporta, è costituito da persone che nascono con il piacere di fare del male.

Io sono INDIGNATO, se pur non stupito, da queste parole.
Ieri sera Giovanni Sartori, da Fabio Fazio, ha ben descritto la situazione. Nei primi decenni del secolo scorso i dittatori europei erano fieri di essere dittatori ed esibivano il loro potere senza alcuna mediazione. Oggi il potere deve ammantarsi di democrazia. E si sta affermando una sorta di dittatura indiretta, in cui la democrazia non viene abbattuta, viene svuotata dall'interno, modificando silenziosamente le regole senza toccare la costituzione. Questa situazione è descritta magnificamente nel suo ultimo libro "Il Sultanato".

Dalla riforma elettorale a quella scolastica e universitaria, dai pericoli del federalismo alle incognite del Partito Democratico, dalle omertà verso la mafia alla bioetica, dall’Alitalia alla crisi economica, l’osservatore più autorevole e sferzante della politica italiana ripercorre fatti e personaggi che hanno occupato la scena del Paese negli ultimi tre anni. E con penna impietosa denuncia gli incredibili paradossi e le troppe storture di un’Italia dove anche il buon senso sembra ormai privilegio di pochi. «Le cose che mi spaventano sono ormai parecchie; ma il livello di soggezione e di degrado intellettuale manifestato da una maggioranza dei nostri ‘onorevoli’ mi spaventa più di tutto. Altro che bipartitismo compiuto! Qui siamo al sultanato, alla peggiore delle corti.»

Al nostro piccolo grande uomo non interessa il fatto che, in Abruzzo, indagini sui passati reati e ricostruzione proseguono su strade diverse senza intralciarsi a vicenda. Non gli interessa che vengano inquisiti e condannati i responsabili di tante morti e devastazioni. Gli interessa solo che in giornali continuino a tessere le sue lodi, senza distrarre l'attenzione della gente dalla sua persona e dalle "sue" ricostruzioni.

Liquida come "pazzi" i costruttori che hanno lucrato sui materiali mettendo a rischio la vita delle persone. E identifica subito i veri responsabili, i magistrati.
C'è, in tutto questo, una chiara scelta di campo. Dovendo scegliere fra costruttori criminali e magistrati inquirenti, il nostro uomo non ha esitazioni, e scaglia le sue barzellette verso i magistrati, riservando ai costruttori una pacca sulle spalle.

Davvero, un uomo così non può reggere le sorti di una nazione democratica. Almeno chiamiamola con il suo nome: dittatura.

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15 aprile 2009

Di cosa viene accusato Santoro?

Santoro, nella trasmissione Anno Zero del 9 aprile ha raccontato il terremoto, dando voce anche a chi si è sentito trascurato dagli aiuti, a chi ha pensato che fossero in ritardo, insufficienti, male organizzati.
E' uscito dal coro unanime del "tutto va bene madama la marchesa" rappresentando una realtà multidimensionale, unica eccezione in un panorama informativo piattamente monodimensionale.
Ha fatto informazione.
Lui a me sta antipatico. E lasciava trasparire (posso sbagliare) quasi una voglia di trovare le sfasature. Ma non le ha trovate lui. Le ha fatte dire a chi era sul campo, a chi aveva perso amici e parenti sotto le macerie, ai dottori che erano rimasti per ore senza acqua da dare agli ammalati. A tutti coloro che erano rimasti invischiati nelle pieghe della macchina degli aiuti.
Non avrebbe dovuto. E' stato accusato di lesa maestà, di aver infangato il lavoro dei volontari.
Niente di più falso, ovviamente.
Ma qualcuno sta approfittando dell'emergenza terremoto per dare l'ultimo colpo all'informazione non allineata, non "embebbed".

Riporto dal sito della sinistra democratica:

Ma di cosa viene accusato Michele Santoro per il suo Anno Zero di giovedì scorso? D’aver raccontato, con immagini e testimonianze, la grande generosità degli uomini della protezione civile e la leggerezza con cui i loro capi hanno valutato quattro mesi di scosse sismiche in Abruzzo? D’aver dato la parola a una ragazza che si chiedeva e ci chiedeva se quei suoi amici morti sotto le macerie della casa dello studente dell’Aquila sono solo il costo di una fatalità? E di cosa lo accusano, nella conduzione della trasmissione, di aver lasciato ampio spazio con diritto di parola e di replica a un sottosegretario del governo e al direttore del Giornale di Berlusconi? Trasmissione dolente per ciò che ha mostrato: ma impeccabile. Sgradevoli semmai sono oggi i commenti, e questa voglia di incenso per far dimenticare in fretta che dietro una città che crolla ammazzando quasi trecento persone ci sono anche colpe e colpevoli. Di cui gli irreprensibili critici di Santoro preferirebbero non parlare affatto.

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10 aprile 2009

A cosa servono le raccolte di fondi pro-terremoto?

Siamo bombardato da ogni lato da raccolte fondi per i terremotati de l'Aquila.
Viene d'istinto di dire "si, diamo una mano". A volte è facile, basta mandare un sms, neanche serve andare alla posta a fare il versamento.
Ma chi gestisce questi fondi? Per quali iniziative vengono utilizzati?
Berlusconi ha detto con orgoglio che non c'è bisogno di tende e alimenti. Siamo autosufficienti.
La protezione civile sta diventando degna di un paese civile. Ha reagito meglio che tutte le altre volte. Non perfettamente, è chiaro. Ma viviamo in un paese che di organizzativamente perfetto non ha niente. Ieri ho visto Ballarò, ed ho avuto l'impressione che si volesse cercare il pelo nell'uovo. Ma ci sta anche questo, una coscienza critica è necessaria.
Berlusconi ha anche rifiutato gli aiuti economici offerti dagli altri paesi del mondo. Ha detto "Grazie, ma per adesso ce la facciamo. Magari più avanti".
Ecco, magari più avanti.
E, soprattutto, aiuti mirati.
Il terremoto ha colpito duro perchè le case sono costruite male, in spregio delle norme antisismiche, in spregio della attuale cultura tecnologica.
Il know how esiste, chi vuole sa come costruire un edificio che resista.
E' mancato questo, soprattutto.
E allora a cosa serve il mio euro, i miei dieci, cento, mille euro dati sull'onda dell'emozione? A ricostruire cosa? Come? Con quali garanzie?
Forse sarebbe meglio dare quest'euro dopo aver accuratamente selezionato il destinatario. Adesso l'euro serve solo come gesto scaramantico, per allentare la tensione, la paura, per manifestare il sollievo di chi vive in una zona non sismica. Di chi vede le disgrazie altrui.
E, soprattutto, le raccolte fondi servono a chi le lancia per coprirsi di gloria. I vari telegiornali, i giornali stampati. Fanno tutti a gara per raccogliere fondi e per dire "i nostri lettori, i nostri ascoltatori hanno dato di più".
A me non piace. E penso che non parteciperò a queste raccolte fondi di cui ignoro tutto.
Invito invece chiunque sappia di una raccolta fondi mirata ad una ricostruzione credibile, di comunicarla a me e a tutti.
Salvo

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17 marzo 2009

Il fascismo che avanza. Fantasie?

Vale la pena di riflettere qualche minuto sul fascismo che avanza. Fantasie? Prova a leggere questi due articoli di repubblica, e poi ne riparliamo.
Salvatore Randazzo

http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2009/03/16/cittadini-volenterosi/

*Cittadini volenterosi*

di Alessandro Gilioli

Dice il premier che «quelle approvate con decreto legge dal governo
non sono ronde: sono cittadini volonterosi che si mettono a
disposizione del prefetto e del sindaco».

Nel mio quartiere di Roma, l’Esquilino, questi cittadini volenterosi
si sono organizzati attorno a un signore che si chiama Augusto
Caratelli ed è un consigliere municipale del Pdl, ex La Destra. E’
questo signore qui:




Coordina circa 270 persone (dice lui) che lui chiama “sentinelle”. I
più giovani del gruppo invece si chiamano tra loro “legionario
cittadino”.

In passato Caratelli ha organizzato nel quartiere manifestazioni
contro i gay insieme a Militia Christi e Forza Nuova.

Il simbolo del suo gruppo è questo:



Farebbe pure ridere, se non fosse che lui e i suoi amici girano già
per il quartiere per individuare «molestatori, ubriachi e sbandati»,
«con una capillarità che fa tremare il migliore servizio di sicurezza»
(cito dal loro sito).

Ce l’hanno su in particolare con i bengalesi, che all’Esquilino sono
parecchi; di solito fanno i cuochi o i camerieri nei ristoranti,
qualche volta aprono piccoli negozi di alimentari.

Un po’ di tempo fa i bengalesi hanno cercato di aprirsi una piccola
moschea nel quartiere, ma Caratelli e i suoi amici sono riusciti a
bloccarla.

Il portavoce del suo gruppo, che si chiama Comitato Difesa Roma Caput
Mundi Sede Esquilino è tale Alessandro Vallocchia, che un anno fa
aveva lanciato l’Operazione Mazzaferrata (così l’ha chiamata lui) per
sfondare le vetrine dei negozi cinesi del quartiere.

http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/politica/neofascisti/neofascisti/neofascisti.html


Esce "Bande nere", un libro in cui Berizzi racconta chi sono, come vivono
e chi protegge i nuovi "balilla". Un'inchiesta tra partiti, stadi,
scuole e centri sociali

*Neofascisti e destra di governo a braccetto con nostalgia*

di PAOLO BERIZZI

C'è il ministro della difesa La Russa che posa con un "camerata" di
una famiglia mafiosa siciliana, i Crisafulli, narcotraffico e spaccio
di droga a Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano. C'è il suo
collega di partito e di governo, il ministro per le politiche europee
Ronchi, con uno dei fondatori del circolo nazifascista Cuore nero:
quelli del brindisi all'Olocausto.

Lui si chiama Roberto Jonghi Lavarini e presiede il comitato Destra
per Milano (confluito nel Partito della libertà). Sostiene le "destre
germaniche", il partito boero sudafricano pro-apartheid - il simbolo è
una svastica a tre braccia sormontata da un'aquila - e rivendica con
orgoglio l'appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet. In un'altra
foto compare a fianco del sindaco di Milano, Letizia Moratti. Poi ci
sono gli stretti rapporti del sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi,
con l'ultra-destra violenta e xenofoba del Veneto Fronte Skinhead.
Ruoli istituzionali, incarichi, poltrone distribuiti ai leader delle
teste rasate venete, già arrestati per aggressioni e istigazione
all'odio razziale.

*Fascisti del terzo millennio*
Almeno 150 mila giovani italiani sotto i 30 anni vivono nel culto del
fascismo o del neofascismo. E non tutti, ma molti, nel mito di Hitler.
Un'area geografica che attraversa tutta la penisola: dal Trentino Alto
Adige alla Calabria, dalla Lombardia al Lazio, da Milano a Roma
passando per Verona e Vicenza, culle della destra estrema o, come
amano definirla i militanti, radicale. Cinque partiti ufficiali (Forza
Nuova, Fiamma Tricolore, la Destra, Azione Sociale, Fronte Sociale
Nazionale) - sei, se si considera anche il robusto retaggio di An
ormai sciolta nel Pdl. I primi cinque raccolgono l'1,8 per cento di
voti (tra i 450 e i 480 mila consensi). Ma a parte le formazioni
politiche, l'onda "nera" - in fermento e in espansione - si allunga
attraverso un paio di centinaia di circoli e associazioni, dilaga
nelle scuole, trae linfa vitale negli stadi.

Sessantatre sigle di gruppi ultrà (su 85) sono di estrema destra: in
pratica il 75 per cento delle tifoserie che, dietro il "culto" della
passione calcistica, compiono aggressioni e altre azioni violente
premeditate. La firma: croci celtiche, fasci littori, svastiche,
bandiere del Terzo Reich, inni al Duce e a Hitler. Sono state 330 le
aggressioni da parte di militanti neofascisti tra 2005 e 2008.
Concentrate soprattutto in tre aree del paese: il Veneto (Verona,
Vicenza, Padova), la Lombardia (Milano, Varese) e il Lazio (Roma,
Viterbo). Sono i vecchi-nuovi "laboratori" dell'estremismo nero. Con
Roma - anche qui - capitale.

*Dalle scuole ai centri sociali*
Dai centri sociali di destra alle occupazioni a scopo abitativo (Osa)
e non conformi (Onc). Dalle aule dei licei a quelle delle università.
Dai "campi d'azione" di Forza Nuova ai raid squadristi delle bande da
stadio che si allenano al culto della violenza. La galassia del
neofascismo si compone di più strati: e anche di distanze evidenti.
L'esperimento più originale è quello di CasaPound a Roma, il primo
centro sociale italiano di destra. Da lì nasce Blocco studentesco, il
gruppo sceso in piazza contro la riforma della scuola. Una tartaruga
come simbolo, i militanti si battono contro l'"affitto usura" e il
caro vita. Il leader è Gianluca Iannone, anima del gruppo
ZetaZeroAlfa: musica alternativa, concerti dove i militanti si
divertono a prendersi a cinghiate.

A Milano c'è Cuore Nero. Il circolo neofascista fondato da Roberto
Jonghi Lavarini e dal capo ultrà interista Alessandro Todisco, già
leader italiano degli Hammerskin, una setta violenta nata dal Ku Klux
Klan che si batte in tutto il mondo per la supremazia della razza
bianca. Dopo l'attentato incendiario subito l'11 aprile del 2007, i
nazifascisti di Cuore nero ringraziano in un comunicato ufficiale
tutti coloro che gli hanno espresso solidarietà e sostegno: tra gli
altri, "in particolare", la "coraggiosa" onorevole Mariastella
Gelmini, all'epoca coordinatrice lombarda di Forza Italia e attuale
ministro dell'Istruzione.

*Saluti romani, pistole e 'ndrine*
La famiglia calabrese dei Di Giovine e quella siciliana dei
Crisafulli, la destra in doppiopetto di An e quella estremista di
Cuore nero. A Quarto Oggiaro, hinterland milanese, la ricerca del
consenso politico incrocia sentieri scivolosi. A fare da cerniera tra
le onorate famiglie - che gestiscono il mercato della droga -, le
teste rasate e il Palazzo è sempre lui, il "Barone nero" Jonghi
Lavarini. Quello fotografato con il ministro Ronchi e il sindaco
Moratti. Quello che presenta a Ignazio La Russa Ciccio Crisafulli,
erede del boss mafioso Biagio "Dentino" Crisafulli, in carcere dal '98
per traffico internazionale di droga. Camerata dichiarato, il rampollo
Crisafulli frequenta Cuore nero così come il cugino James. A lui
sarebbe stata dedicata la maglietta "Quarto Oggiaro stile di vita",
prodotta dalla linea di abbigliamento da stadio "Calci&Pugni" di
Alessandro Todisco. L'avvocato Adriano Bazzoni è braccio destro di La
Russa. C'è anche lui in una foto con Lavarini e con Salvatore Di
Giovine, detto "zio Salva", della cosca calabrese Di Giovine. Siamo
sempre a Quarto Oggiaro, prima delle ultime elezioni politiche.

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03 marzo 2009

Jango, il vaso di Pandora

Ricordi il mito del vaso di Pandora? Guai ad aprire quel vaso! Ne uscirono tutti i mali del mondo. Poi, un paio d'anni fa, qualcuno si inventò il sito di Pandora. Un'idea fantastica, un sito che impara i tuoi gusti musicali e ti propone la musica che piace a te, anche se ancora non lo sai. Per iniziare tu gli dici, ad esempio: "Amy Winehouse". Lui ti suona una canzone di Amy. Ma subito dopo ti suona qualcos'altro, che secondo lui è dello stesso tipo, e che quindi potrebbe piacerti. Tu esprimi il tuo apprezzamento o no, e lui impara poco per volta i tuoi gusti. Così senti la musica che ti piace, e fra l'altro scopri un sacco di cantanti o musicisti che magari non conosci. Io così ho conosciuto Diana Krall, Patricia Barber, Cassandra Wilson e tanti altri. E poi, siccome uno mica ha sempre voglia di ascoltare la stessa musica, puoi salvare le tue "stazioni", ossia i tuoi generi preferiti. Metti cha una stazione la chiami "Blues", l'altra "Donne del Jazz", l'altra "Funky" ecc ecc. E' come sintonizzarsi sulla radio preferita, ma che conosce alla perfezione i tuoi gusti.

Ma (c'è sempre un "ma", vero?) Pandora è stato vietato a noi italiani, per questioni di copyright. Manca un accordo con le case discografiche. Quando hanno bloccato Pandora ci sono rimasto molto male.

Però ieri ho scoperto Jango, che è più o meno la stessa cosa. Anzi, direi proprio la stessa cosa. Fantastico!
Ti iscrivi, e da quel momento in poi hai accesso ad uno sterminato repertorio, che puoi tagliare sui tuoi gusti personali. Io una cosa così sarei anche disposto a pagarla. Ma per ora è gratis, approfittiamo, no?
Certo, come al solito ci sarà il retroscena, nessuno fa niente per niente. Raccoglieranno informazioni sul mio conto, dai miei gusti musicali capiranno tutto di me, mi arriveranno miliardi di lettere spam, chissà cos'altro. Ma per questa cosa sono disposto a rischiare. Soprattutto usando un indirizzo email apposito, sacrificabile, che uso solo per questo tipo di avventure.

Buon ascolto!

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21 febbraio 2009

Le ronde

Non dovrebbe neanche servire parlarne. Non dovrebbero neanche esistere, come concetto, le ronde. Dovrebbe essere normale che i cittadini si prendessero cura del territorio. Dovrebbe essere normale che qualcuno, in presenza di un reato o anche di un comportamento maleducato, sentisse il dovere di intervenire. Dovrebbe essere normale zittire il ragazzo maleducato che sul tram si permette di importunare l'emigrato di turno, o che resta seduto al suo posto mentre un anziano resta in piedi. Dovrebbe essere del tutto normale sentire il dovere di accompagnare una ragazza, una signora che si sera si avventura in un parcheggio deserto. Dovrebbe essere normale intervenire quando, di notte, un gruppo di ragazzi ubriachi devastano un parco cittadino dando fuoco alle panchine e rompendo ovunque bottiglie di birra.
Dovrebbe essere del tutto normale, senza bisogno di sancirlo per legge, che la società insegnasse ai propri giovani il comportamento corretto, il rispetto per l'anziano ed il più debole, l'immigrato, da donna in difficoltà. Dovremmo, per abitudine, prenderci cura del territorio e di chi lo abita, senza chiedere nessun permesso al prefetto o al sindaco.
Ma viviamo in un mondo in cui il territorio è devastato da ogni tipo di speculazione, dove gli esseri umani sono merce da usare e poi buttare quando non servono più. Dove le donne sono proposte non come persone ma come oggetti del desiderio su ogni schermo televisivo, su ogni periodico, in ogni pubblicità.
I nostri ragazzi imparano subito, sin da bambini, che la violenza è utile per farsi strada nella vita, che la moralità non serve a niente, che per fare successo nella vita basta essere sufficientemente volgari, immorali, disinibiti. Imparano che non esiste legalità, a partire dai genitori che evadono tutte le tasse che possono, per finire ai governanti che oltre ad evadere abitualmente le tasse, utilizzano il loro potere a fini quasi esclusivamente personali.
Nelle nostre città i poveri vengono cacciati via dalle stazioni ferroviarie e dalle metropolitane perchè sono indecorosi, così vanno a morire serenamente di freddo sulla panchina di un parco, meritandosi qualche secondo di popolarità nel telegiornale della sera.
Nessuno, in questo nostro povero paese, si prende cura del territorio e dei suoi abitanti, lasciando che avanzi il degrado morale, urbanistico ed ambientale.
E in questo sfascio generalizzato improvvisamente ci si accorge che alcuni stranieri sono anche maleducati e violenti, e all'occorrenza fanno quello che molti maschi italiani hanno sempre fatto fra le quattro mura di casa: violentano le donne.
E allora, all'improvviso, dobbiamo porre rimedio e, siccome "non possiamo mettere un poliziotto a guardia di ogni bella ragazza", decidiamo di autorizzare le "ronde". Decidiamo di regolamentare per legge quel che la nostra cultura non ha saputo fare. Ossia di far si che ognuno di noi si debba sentire responsabile di difendere i deboli da qualsiasi tipo di aggressione. Si decide allora di "regolamentare le ronde", quasi che ci fosse un movimento di popolo da controllare. Finiremo, invece, per legittimare l'idea che ci si possa mettere in gruppo per dare la caccia allo straniero, per intimidirlo, per spaventarlo, per vessarlo. Con la benedizione della legge. Chi eviterà che gruppi di buoni militanti padani, fiorentini, romani o napoletani, decidano in autonomia di fermare, perchè non si sa mai, ogni gruppo di immigrati sospetti, per controllare i documenti, per esercitare quella piccola, fisiologica pressione contro queste persone, sospettate in quanto straniere e povere? E se qualcuno dovesse opporre resistenza? Beh, cosa vuoi, chi farà mai caso se ci scappa qualche bastonata? Questa iniziativa sembra fatta apposta per invogliare i più esagitati a

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20 febbraio 2009

Non succede niente di strano

Parlando con i miei amici, leggendo gli interventi sui forum, mi ha colpito il diffuso riferimento alla depressione e/o incazzatura. Anche io mi lascio spesso prendere da questo senso di impossibilità a cambiare. Ne parlavo proprio ieri sera in chat con
una amica polacca, alla quale tentavo di descrivere, nel mio povero
inglese, la penosa situazione italiana.
Poi però mi è venuto (farei meglio a dire mi è tornato) in mente un
vecchio pensiero.
La nostra è una generazione disillusa. Parlo della generazione dei 50enni
di oggi, io ne ho 55.
Disillusa perchè siamo passati, chi più chi meno, attraverso le grandi
speranze degli anni 60/70.
Ma una disillusione prevede che ci sia stata una precedente illusione.
Questo è, ci siamo illusi.
Alle nostre spalle c'era un mondo che nei secoli passati aveva
attraversato continui cicli di guerre devastanti, paci instabili,
sopraffazioni, ingiustizie, e via cercando nel vocabolario.
Ci siamo illusi che fosse possibile mettere fine a questo eterno
succedersi di violenze ed ingiustizie.
Abbiamo avuto una infantile fiducia nella "ricetta giusta", ed anche un
po' magica. Io da piccolo ero convinto che esistessero le ricette giuste,
le magie. Che bastasse capire "come si fa". Un po' come nella tecnica,
come cambiare la guarnizione di un rubinetto o il fusibile di casa (allora
non c'erano i salvavita). Pensavo che bastasse capire come si fa.
Lo stesso con la politica. Ci illudevamo di aver capito "come si fa". E
quel che non avevamo ancora capito, eravamo convinti che l'immaginazione
al potere ci avrebbe permesso di capirlo dopo.
Non era così, e dopo l'illusione è arrivata una disillusione dalla quale
non riusciamo ancora a saltare fuori.
Ma è semplice. Il mondo è quello di sempre, con violenze e sopraffazioni.
Con guerre e sfruttamenti.
E noi non dobbiamo mai abbassare la guardia, mai smettere di lottare. Con
la coscienza che non vinceremo mai.
Che questo non diventerà mai "un paese normale", perchè ogni paese ha le
sue caratteristiche. Gli svedesi sono svedesi, e noi siamo italiani.
Ma questo non significa smettere di tentare di portare un po' di Svezia da
noi (posto che la Svezia possa essere un buon riferimento). Perchè, come
nel tiro alla fune, appena molli un attimo, vincono gli altri.
Quelli che rendono il nostro paese ancora più invivibile.
E allora, per saltare fuori dai malumori e dalle incazzature, occorrerebbe
pensare che non sta succedendo in fondo niente di strano. I bastardi si
comportano giustamente da bastardi, seguendo la loro natura. E i leghisti
da leghisti. E i Maroni da Maroni. A noi, a chi non si sente nè bastardo
(beh, non troppo per lo meno), nè leghista e neanche Maroni, capita in
sorte di tirare la corda dall'altro lato, e di non mollare, per non
lasciar vincere gli altri.
Forza gente, non è il caso di abbattersi, in un'ottica temporalmente meno
limitata, non sta succedendo niente di diverso dal solito.

19 febbraio 2009

E se i riti fossero laici?

Abbiamo bisogno di riti. Ne abbiamo bisogno per conoscere e riconoscere i nostri compagni di strada. I riti sono momenti di socialità, di legittimazione reciproca. O per lo meno potrebbero esserlo, se fossero laici. Invece spesso i riti sono sostenuti dalla fede. In Dio, o nel Milan, o nel Duce di turno. E allora smettiamo di guardare a chi sta vicino a noi, e invece guardiamo in alto, o in basso, fa niente. Ma guardiamo altrove. Sarebbe bello se potessimo andare in chiesa, a celebrare il rito della presenza collettiva, della solidarietà. Andare li senza credere nel trascendente, ma per il piacere di essere li insieme agli altri. Credendo, fermamente, nell'umanità. Io credo in te, tu in me. Non abbiamo bisogno di trascendere. Anzi, avremmo proprio bisogno di restare con i piedi per terra.

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18 febbraio 2009

Wisława Szymborska - Labirinto

Wisława Szymborska è una poetessa polacca molto famosa.
Questa poesia mi piace molto.

- e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.

Una via dopo l’altra,
ma senza ritorno.
Accessibilie soltanto
ciò che sta daanti a te,
e laggiù, a mo’ di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farsi sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraversi infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a moli ancora aperti,
dove c’è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c’è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell’infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d’improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c’è.
Deve pur esserci un’uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga -

versione polacca
versione inglese ancora non l'ho trovata

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14 febbraio 2009

Un passo di troppo

Leggo oggi su l'Eco di Bergamo (in questi giorni lavoro a Ranica(BG)) un interessante resoconto sull'incontro che due malati di SLA hanno avuto con il pubblico. L'incontro aveva lo scopo di presentare il libro "Ma cosa ho di diverso? Conversazioni sul dolore, la vita, la morte" scritto da uno di loro, il medico dott.Mario Melazzini. L'altro ammaltato presente è il sacerdote don Roberto Pennati. Dall'incontro emerge la storia personale dei due malati e la loro convinzione che, in caso di gravi malattie degenerative come la SLA, occorre parlare di "diritto alla vita" invece che di "diritto alla morte". Torna un po' la distinzione artificiosa fatta dal presidente del consiglio SB fra un "partito della libertà e della vita" contrapposto ad "partito dello statalismo e della morte".
Torna l'esigenza di polarizzare la situazione, di indentificare due parti contrapposte.
Polarizzazione cercata non certo da don Pennati e Melazzini, ma da coloro che hanno fatto di tutto per strumentalizzare la tragica storia di Eluana.
Le posizioni del dott.Melazzini e di don Pennati sono coraggiose e soprattutto vengono da chi la malattia la vive in prima persona, sul proprio corpo che progressivamente rifiuta di collaborare. Entrambi hanno sottolineato la loro esigenza, comune ai malati terminali di questo tipo, di avere soprattutto digità di persone e attenzioni.
Questa loro posizione è del tutto condivisibile.
Ma sarebbe bello se potessimo fermarci qui. Se potessimo accettare il fatto che la loro è "una posizione", e non "la posizione". Se potessimo accettare che ci sono malati che affrontano la malattia in modo divero. Non si può ridurre tutto al fatto, del tutto ipotetico, che alcuni di questi malati siano abbandonati a se stessi, privati di amicizia e di amore, e che quidi non abbiano la forza di affrontare fino in fondo il loro calvario. Certe malattie diventano difficili da sopportare soprattutto nelle fasi terminali, quando il corpo diventa una prigione totale, senza alcuna possibilità di movimento o di comunicazione, se non con un leggero movimento degli occhi. E quando la prospettiva futura è solo la morte per totale paralisi anche dei muscoli della respirazione. O forse neanche quella, perchè un respiratore può mantenerci ugualmente in vita.
Alcuni affrontano questa situazione a testa alta, con il coraggio che gli viene dal carattere o da convinzioni personali o religiose. Ma altri hanno sensibilità diversa, un coraggio diverso. Si dovrebbe evitare quel passo di troppo, di ritenere che l'unica posizione accettabile sia quella di chi decide di combattere fino in fondo la battaglia per ritardare la morte anche di un solo mese, anche di un solo giorno.
Si dovrebbe accettare che rispetto a questo fatto esistono sensibilità diverse. Ed accettare quindi la volontà di chi preferisce abbreviare l'agonia, lasciare che la natura segua il suo corso senza ricorrere ad artifizi quali la ventilazione o l'alimentazione forzata. Che poi si voglia chiamarlo suicidio assistito o eutanasia o (come la chiamerei io) morte naturale, poco importa, sono solo nominalismi. La verità, semplice, è c'è chi, sorretto da incrollabili convinzioni, vorrebbe seguire un percorso di resistenza ad oltranza. Altri che preferiscono lasciar fare alla natura. Perchè una delle due posizioni dovrebbe essere più accettabile dell'altra? Perchè la legge dovrebbe imporre uno dei due comportamenti?

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24 gennaio 2009

Un treno per Auschwitz

Ieri sera al Liceo di Cassano d'Adda è stata organizzata una proiezione nell'ambito delle celebrazioni della Giornata della Memoria. Il film proiettato è stato "Un treno per Auschwitz", un documentario interessantissimo sul viaggio che alcuni studenti e professori hanno fatto in quel posto tremendo. Il documentario racconta l'orrore del campo di concentramento visto attraverso gli occhi degli studenti, al momento della partenza, durante il viaggio, sul posto ed al ritorno.
Si possono vedere questi ragazzi cambiare, diventare di momento in momento più partecipi. Carlo Lucarelli accompagna i ragazzi, e li aiuta a meglio mettere a fuoco le loro sensazioni.
Ogni anno queste commemorazioni scatenano delle domande che non sono rituali: "come è stato possibile?". Lo diciamo come se si trattasse di un evento eccezionale, e tutto sommato lo è stato, ma solo nei numeri. Nell'orrore dell'approccio industriale, dello sterminio a ciclo continuo. Ma temo che il germe che ha portato a questa follia collettiva sia in realtà in mezzo a noi, ogni giorno in mezzo a noi.
Lo riconosco nella indifferenza, anzi, nel fastidio con cui tanta gente intorno a noi guarda alla sofferenza di persone che sentono "diverse".
Qualche sera fa avevo a cena alcuni amici. Ed il discorso è scivolato sul conflitto israelo-palestinese. Alcuni di noi avevano posizioni contrastanti, faticose, non sapendo bene da che parte stare. Riconoscendo torti e ragioni da entrambe le parti. Uno di noi invece aveva le idee molto chiare: "Li devono sterminare tutti. I palestinesi sono dei bastardi, sono anni che fanno attentati e buttano razzi contro gli israeliani. Ora hanno eletto Hamas, l'hanno voluto loro, e paghino le conseguenze. E' giusto che gli israeliani li attacchino, e se dovessero anche ammazzarli tutti farebbero solo bene".
Certo, sono rimasto senza parole, senza fiato.
Ma quel che mi ha più colpito, soprattutto a ripensarci, è che ho capito cosa è successo in Germania negli anni 40. Ho capito com'è stato possibile che tanta "gente per bene" si sia trasformata in boia, torturatori, assassini. O, quanto meno, in complici silenziosi. E' bastato applicare questo piccolo orrore verbale, poco per volta, un grammo alla volta, addormentando le coscienze. E' bastato che gli ebrei venissero dipinti come l'elemento di disturbo, i responsabili di ogni disordine, di ogni fastidio. Non responsabili di qualcosa di particolarmente grave, no. Ma fastidiosi, si. E' bastato che una continua campagna di denigrazione attizzasse, poco per volta, l'irritazione della gente per bene. Una goccia oggi, una goccia domani. Attribuire loro responsabilità inesistenti. O sottolineare quelle esistenti. Penso che gli ebrei, come qualsiasi popolo o etnia, abbiano i loro ladri, i loro assassini, i loro truffatori. Qualcuno che sbaglia c'è anche da loro, immagino. Bene, basta prendere i misfatti di queste persone e sottolinearli, enfatizzarli. Non ci sarebbe neanche bisogno di inventare niente. C'è sempre la possibilità di enfatizzare a dovere quello che succede. E così, quando sono state promulgate le prime leggi razziali, in Germania, la gente deve aver pensato "Era ora! Ci hanno proprio rotto le scatole questi maledetti ebrei!". E poi sappiamo cos'è successo.
Non succederà più? Basta celebrare ogni anno la giornata della memoria?
Non lo so, non credo. Credo invece che succeda OGNI GIORNO. Certo, non con la teutonica efficienza di quei giorni tremendi. Niente più treni blindati, niente più campi di concentramento, niente più forni crematori. Quell'orrore, grazie al cielo, non si sta ripetendo. Manca per lo più la volontà di Ma vedo intorno a me gli stessi meccanismi di trasformazione dell'altro in oggetto, in problema, in fastidio. L'essere umano perde la sua sacralità, diventa cosa. Oggi, per quel che ne sappiamo, mancano i tentativi organizzati di eliminazione di un intero popolo. Anche se in posti come il Ruanda ci sono andati terribilmente vicino. Però l'indifferenza della gente di fronte alla sofferenza dei deboli è qualcosa di preparatorio. Il dramma degli ebrei in Germania si è appoggiato su questa indifferenza.
Ho sentito una vecchia registrazione di un deportato da Roma ad Auschwitz. Raccontava del viaggio in treno, da Fossoli (MO) ad Ora (BZ). Due giorni per fare 200km. Stipati in un carro bestiame, senza mangiare, ma soprattutto senza bere. Il treno si fermava in tutte le stazioni. Il treno sostava in banchina, vicino ad altri treni. I soldati controllavano l'accesso ai vagoni. Passaggeri salivano e scendevano dagli altri treni. I bambini piangevano, le mamme urlavano chiedendo acqua. I passeggeri passavano vicino a questo orrore, senza guardare, senza intervenire, senza protestare. Forse se fossero state pecore, mucche, cavalli, qualcuno sarebbe intervenuto. Invece neanche uno sguardo di pietà, di solidarietà. E, attenzione, parliamo di un viaggio di 200km in Italia, dalla provincia di Modena a quella di Bolzano. Erano italiani i fascisti che avevano arrestato e deportato questi sfortunati ebrei, erano italiani i passeggeri che sfioravano la tragedia rinchiusa in quei vagoni, senza nemmeno uno sguardo.
Ci sono mille teorie sulle ragioni che possono aver portato i tedeschi ad accettare questi eventi drammatici. Qualcuno dice che il popolo tedesco non sapeva. Altri fanno appello al carattere disciplinato dei tedeschi. Altri ricordano il martellamento della propaganda nazista che potrebbe aver fortemente condizionato la capacità di giudizio di quel popolo.
Penso che tutte queste spiegazioni possano avere avuto un qualche peso.
Eppure io penso che qualcosa rimanga da spiegare. Mi riferisco a quell'atteggiamento di fastidio verso tutto quanto viene ad alterare il nostro equilibrio. Fastidio verso il lavavetri, verso lo zingarello che chiede l'elemosina, verso i musulmani che pregano sul marciapiedi. Fastidio anche, in parte giustificato, verso gli immigrati che delinquono, che stuprano, che rubano. Fastidio che viene esteso, tout court, agli immigrati tutti. O ai musulmani tutti. E il fastidio diventa rifiuto. Diventa quello stato d'animo che, negli anni 30 e 40, fu la preparazione del silenzio, della complicità. I tedeschi hanno finto di non vedere, hanno preferito non vedere, non sapere. In fondo i nazisti li liberavano di un "fastidio". Ebrei, zingari, handicappati, omosessuali, comunisti. Tutta gentaglia fastidiosa, di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza. E così i nazisti ebbero la mano libera, per sterminare milioni di gente fastidiosa.
Certo, possiamo trovare tutte le attenuanti possibili, e forse con qualche ragione. Ma non importa stabilire se i tedeschi siano o meno stati complici dei nazisti. Importa invece sapere quanta di quella indifferenza, quanta di quella vischiosa complicità, sia pronta nelle nostre case, nelle nostre strade. Cosa succederà, quando verrà un altro grande uomo? Quando la memoria degli anni 40 si sarà diluita, quando saranno scomparsi tutti coloro che hanno vissuto quel periodo. Quando la gente sarà infastidita da questi insignificanti giorni della memoria? Cosa impedirà il ripetersi di tutto?

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18 gennaio 2009

La politica è morta?

Mi dibatto spesso, ultimamente, nel tentativo di trovare il pensiero illuminante, la definizione finale, la frase o il pensiero che mi permetta di definire cosa è la destra, in cosa si differenzia dalla sinistra, perché è insensato il tentativo di chi dice che destra e sinistra sono vecchi arnesi arrugginiti del secolo scorso.
In questo periodo, spesso e volentieri sento ripetere questo concetto: "non ha più senso parlare di destra e di sinistra. Dobbiamo fare un passo in avanti, lasciarci alle spalle questi concetti vecchi, legati alle ideologie del secolo scorso, che hanno fatto tanti danni, hanno causato milioni di morti, e non hanno migliorato di un grammo le nostre vite".
La teoria sarebbe affascinante, ma secondo me non sta in piedi.
Ne ho avuto la prova l'altra sera, mentre ero a cena con i miei più vecchi amici.
Siamo scivolati, come sempre, a parlar di politica. Si parlava dei bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza. Uno dei miei amici, spazientito, ha detto che si, facevano bene gli israeliani. Avrebbero dovuto bombardarli tutti, senza pietà, e cancellare il problema palestinese alla radice.
Abbiamo tentato, in due, di introdurre altri elementi nel discorso. Di spiegare la difficoltà di chi, nel corso della sua stessa vita, ha visto arrivare un popolo estraneo, e l'ha visto prendere possesso del proprio territorio. Di chi è nato da pochi anni in un posto senza speranza, senza lavoro, senza libertà di andare a scuola, all'ospedale, senza poter uscire dalla propria città per andare a coltivare i propri campi. Abbiamo tentato, senza riuscire, a spiegare anche le ragioni dell'altro.
Lui riusciva a vedere solo le giustissime ragioni di chi ha dovuto subire, per decenni, il terrorismo e le aggressioni di eserciti confinanti che negano il suo diritto all'esistenza. Accusando il popolo di non sapersi ribellare a governanti-terroristi.
Non voglio qui analizzare la questione palestinese, non ne avrei la capacità e la competenza. Ma quella serata mi ha lasciato la sensazione di una profonda incomunicabilità fra due diverse concezioni di percepire il mondo e i problemi della gente. In ogni conflitto si stabiliscono in maniera quasi automatica due posizioni.
Se si parla del conflitto arabo-israeliano, viene automatico schierarsi da una parte o dall'altra.
Se si parla della tragedia della thyssen, c'è chi si schiera automaticamente dalla parte dei lavoratori. E c'è chi invece, nonostante la drammaticità della situazione che sembra commentarsi da sola, riesce a trovare i motivi per mettersi dalla parte dei dirigenti industriali. A questo proposito, sul sito web del quotidiano ilGiornale, ho trovato commenti di chi diceva che "la colpa è dei sindacati che esercitano forti pressioni per impedire la chiusura delle aziende. I dirigenti, messi sotto pressione, sono costretti a tenere aperte le aziende risparmiando sulla sicurezza e sulla manutenzione". Giuro.
Per questo penso ormai che ci sia proprio una struttura mentale, che impedisce di vedere le ragioni dell'altro e che ci fa schierare a favore dell'una o dell'altra parte.
Io sono terrorizzato da questo meccanismo, perché non vorrei trovarmi, da sinistra, ad ignorare le ragioni dell'altro. Penso che questa incapacità rappresenti in ogni caso una sconfitta.
Ma ad ogni modo non rinuncio a schierarmi, politicamente, a favore dei più deboli, di quelli che fanno più fatica a vivere. Cercando di non perdere di vista le ragioni degli altri, che pure esistono.
Per questo non riesco ad accettare il discorso di chi vorrebbe abolire la stessa idea di questa differenza. Non è vero che destra e sinistra sono categorie obsolete. Non lo sono e non lo saranno finché ci saranno i forti e i deboli. Finché i più intelligenti e capaci o magari solo ricchi saranno in grado di organizzare il lavoro dei meno dotati, meno forti, o magari semplicemente più poveri.
Ci saranno sempre stratificazioni sociali. E i rapporti fra le stratificazioni sociali avranno sempre una componente conflittuale. E ci sarà sempre bisogno di una mediazione fra due parti, di un qualche meccanismo per comporre i conflitti. Vetero marxismo? Può darsi. Infatti penso che quegli strumenti di analisi siano ancora del tutto validi, e che varrebbe la pena di prendere gli scritti di allora e dargli una rispolverata.
Oggi, invece, c'è chi tenta di proporsi come soluzione ai problemi di tutti. Sono proprio coloro che ci raccontano che la destra e la sinistra sono concetti superati. Ci sono parti politiche che ci dicono "vota per me, io saprò prendermi cura delle tue esigenze, qualunque esse siano". Non è vero. Una parte politica può, certo, saper dare un impulso positivo alla nazione. Creando una ricchezza che ricade su tutti. Ma questo può essere vero solo in momenti di particolare difficoltà. Normalmente c'è bisogno di un rapporto dinamico, anche conflittuale, fra diverse e contrastanti esigenze. Gli interessi dei lavoratori non saranno mai gli stessi degli imprenditori. E nessuna delle due parti saprà calarsi così bene nelle vesti dell'altra parte, per capirne i profondi bisogni e farsene carico. Difficilmente l'imprenditore saprà capire i bisogni del lavoratore fino in fondo. Tenderà sempre a sottovalutarli e a sopravvalutare i propri. A volte esisterà proprio il problema di non riuscire a conoscere i bisogni dell'altro. I lavoratori, ad esempio, difficilmente potranno capire tutte le difficoltà di creare un'azienda, di gestirla, di doversi confrontare con le normative ingestibili, con le difficoltà di ogni tipo. L'imprenditore conosce tutte queste difficoltà, ma tende a sopravvalutarle e nel frattempo a sottovalutare le difficoltà di vita di chi deve tirare avanti la famiglia con 800-1000eu al mese. Non basta immaginare. Bisogna proprio provarci. O quanto meno vivere a diretto contatto con chi vive queste difficoltà, toccare con mano cosa significa non andare dal dentista per poter pagare i libri dei ragazzi, o fare la spesa al discount, dove si sa che la qualità del cibo è scarsa, perchè altrimenti non si tira la fine del mese. Chi vive in maniera agiata, senza problemi di sopravvivenza, non può calarsi nei panni dell'altro.
E non credo possa esistere una parte politica in grado di farsi carico dei problemi di entrambi. Anche perchè, banalmente, le parti politiche vivono, o dovrebbero vivere grazie al sostegno economico degli strati sociali che rappresentano. La destra, da sempre, rappresenta il mondo degli industriali, dei professionisti, di quelli che, con grande approssimazione, potremmo chiamare "i forti". Costoro, ovviamente, si aspettano dalla destra la difesa delle loro istanze.
Per la sinistra dovrebbe valere lo stesso concetto. La sinistra dovrebbe ricevere supporto e finanziamenti dai "deboli". Tipicamente dai lavoratori. E rappresentarne le istanze.
Vero è che tutto questo sta cambiando, nel senso che i lavoratori, come li intendevamo, stanno scomparendo. La terziarizzazione sta trasformando i lavoratori in padroncini, dando loro l'illusione di essere altrettanti piccoli industriali. Privandoli, in realtà, dei loro diritti, senza dar loro alcun vantaggio. E infatti assistiamo ad un momento di confusione in cui sono proprio i lavoratori a votare in buon numero per la destra. E' un momento di confusione di ruoli in cui la sinistra cerca di invadere il campo della destra, scalando le banche, stringendo strane alleanze con alcuni settori del mondo industriale. E in cui la destra si propone come paladina delle istanze dei ceti più deboli. A me pare che tutto questo generi una confusione in cui rischiamo di perdere la bussola delle appartenenze.

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24 dicembre 2008

BUONE FESTE!

Questa ultima parte dell'anno, di questo difficile anno, sta passando accompagnata da rulli di tamburo. Verranno poi i botti con i fuochi finali?
Lo spettacolo inizia con l'omino vestito di bianco, quello che vive a Roma. Ha deciso di riversare parte delle sue benevole attenzioni sulle persone transgender e transessuali. Non tanto per aiutarli nella ricerca della loro identità, quanto per spiegar loro che l'unica soluzione alle loro difficoltà è quella di accettarle serenamente.
Tesi non nuovissima, per altro. La serena accettazione dei dolori pare essere parte integrante della dottrina. Ma di solito la dottrina chiede di accettare serenamente le sofferenze inevitabili. Le malattie incurabili, le privazioni. Oppure chiede di accettare il decorso delle malattie curabili. Chiede di curare le malattie e non di accettarle senza cura. In questo caso invece, davanti alla evidente situazione patologica di una donna che nasce nel corpo di un uomo, l'Omino Bianco chiede di rinunciare ad una cura che è pur possibile. Dice che se dio ha voluto così, il suo dovere deve essere accettato e rispettato. Si coglie l'evidente contraddizione fra questo caso e quello di tutte le altre malformazioni che la Chiesa non rivendica come "volere di dio da rispettare". Penso, che so, ai gemelli siamesi. In quel caso non si fa appello al volere di dio. Penso al caso di Eluana Englaro, o a quello di Piergiorgio Welby. In questi casi il volere di dio sembrava, agli occhi di noi profani, abbastanza evidente. Sembrava che il volere di dio (if any) fosse quello di decretare la fine del loro viaggio terreno, privandoli entrambi della possibilità di sopravvivere senza artifici meccanici. Se le alte gerarchie dirette dall'Omino Bianco avessero deciso di seguire il volere di questo dio autocostruito, avrebbero permesso che la natura seguisse il suo corso. In quel caso invece hanno decretato non solo l'opportunità, ma persino l'obbligo morale di imporre cure non richieste, accanimenti terapeutici che tenessero in vita queste persone anche contro il loro stesso volere.
Nel caso dei transessuali, invece, la cura è, se non semplice, almeno consueta, e certamente molto desiderata dai malati. Non voglio semplificare, perchè si tratta di un iter (transizione) piuttosto complesso, faticoso, a volte doloroso. Si tratta di un lungo processo che vede coinvolte terapie ormonali, chirurgiche e psicologiche. E che normalmente porta a risultati accettati dal paziente. Ma in quel caso no. L'Omino Bianco ha deciso che, anche se il paziente vuole la cura, l'errore di natura deve essere rispettato e conservato.
La seconda puntata di questo spettacolo arriva dalle voci che circolano riguardo al prossimo festival di Sanremo. Si vocifera di una canzone di un certo Povia (Quando i bambini fanno ohh) il cui titolo sembra essere Luca era Gay. Niente di preoccupante, in apparenza. Siamo abituati a canzoni che raccontano la vita gay, così come si raccontano mille altri aspetti della vita di tutti noi. Semplicemente. Ma quel che preoccupa sono alcune dichiarazioni del signore in questione. A Panorama ha infatti dichiarato: "Gay non si nasce. Lo si diventa in base a chi frequenti. Anche io ho avuto una fase gay: è durata sette mesi, poi l’ho superata. E ho anche convertito due miei amici che credevano di essere gay e invece adesso sono sposati." Come se essere gay fosse una scelta tranquillamente reversibile. Come se fosse una scelta, un capriccio del momento, e non un modo di essere. Preoccupa il fatto che quel Luca potrebbe essere "Luca Tolve, un tizio che dichiara di esser un ex gay, guarito grazie alle teorie riparative di Joseph Nicolosi, cattolico integralista americano, le cui tesi sono state ampiamente confutate dalla comunità scientifica mondiale" (dal Corriere OL).

Ecco, date queste premesse, c'è da preoccuparsi pensando ai botti e a fuochi di fine anno. Cosa ci riserva il futuro?

Beh, in ogni caso BUON NATALE E BUON ANNO A TUTTI!

27 novembre 2008

Pericolo Wi-FI e Bluetooth!

Hai un computer portatile? Lo usi spesso in viaggio? ATTENTO! Se usi la connessione Wi-Fi i tuoi dati sono in pericolo!
Ma anche il tuo cellulare, se dotato di Bluetooth, può costituire un pericolo.
Un tecnico ben preparato può costruire trappole infallibili, con le quali rubare non solo i tuoi dati di accesso al conto corrente, non solo i dati della tua carta di credito, ma anche, e soprattutto, le informazioni più segrete che può poi utilizzare per qualche ricatto.
Leggi qui sotto un interessante articolo, tratto da Punto Informatico, e capirai come funziona l'aggressione.
Ma, soprattutto, segui queste regole semplici:
  • Tieni sempre spento il wi-fi ed il bluetooth, quando non ti servono.
  • Non fidarti molto delle connessioni wi-fi pubbliche (aeroporti, stazioni, treni), soprattutto se sono gratis e se non sono conosciute.
  • Evita di accedere al tuo conto corrente o di fare acquisti via web, quando usi una connessione wi-fi pubblica.
  • Usa, ogni volta che puoi, la crittografia per lo scambio di email delicate che riguardano il lavoro, la vita privata, qualsiasi aspetto della tua vita che potrebbe metterti in imbarazzo se diventasse pubblico.
Ecco l'articolo

Se una sera d'inverno un viaggiatore

Roma - Nei giorni scorsi ho dovuto muovermi in treno tra Bologna e Firenze, portandomi appresso il laptop, e quello che ho visto mi ha lasciato attonito.
Perché?
Perché il nostro mondo ha un altro aspetto visto da un laptop dotato di interfacce Wi-Fi e/o Bluetooth e di una distribuzione come Backtrack o OSWA Assistant. Per farvi capire cosa intendo sono costretto a ricorrere ad un breve racconto.
Naturalmente, tutto ciò che state per leggere non è mai avvenuto. I nomi sono di fantasia.

Se una sera d'inverno un viaggiatore
Simone si strinse il bavero attorno al collo e lanciò un'occhiata a sud. L'Eurostar 9450 delle 18:30 era già visibile all'ingresso della stazione. Nel giro di un paio di minuti sarebbe stato a bordo, al caldo. Dopo aver corso per circa dieci ore da un cliente all'altro, avrebbe finalmente potuto svestirsi e sedersi. Non vedeva l'ora. L'arrivo a Milano era previsto per le 23:25 per cui Simone avrebbe avuto quasi cinque ore di tempo per lavorare.
In quel momento il suo unico pensiero era il Giappone. I suoi amici stavano per partire e lui non aveva ancora trovato i soldi per seguirli. 3.000 euro. Quella era la cifra necessaria. 3.000 euro che andavano ad aggiungersi ai 35.000 euro che aveva appena speso per la sua nuova auto. Se fosse stato un ragazzo serio, come lo voleva sua madre, avrebbe dovuto rinunciare. Ma Simone aveva sempre desiderato fare quell'esperienza. Le strade senza nome e senza numero, i cartelli con gli ideogrammi, la gente che parla solo giapponese. Nulla a che fare con le solite gite parascolastiche a Londra od a New York. Niente più campi giochi per adolescenti. Voleva mettersi alla prova. Voleva mettere sul passaporto anche quel timbro.

E Simone sapeva dove trovare i soldi. Doveva solo avere un po' di fortuna. Anzi: molta fortuna. Quello era l'ultimo viaggio di rientro prima delle ferie di Natale. La settimana successiva sarebbe rimasto a Milano ed il weekend successivo avrebbe dovuto partire per il Giappone. Non aveva altre occasioni. Doveva mettere nel cesto un pesce entro le prossime cinque ore. E doveva essere un pesce bello grosso.

Appena salito a bordo si sistemò rapidamente, collegò il laptop alla presa di corrente e lo accese. Non riuscì a trattenersi dal tamburellare con le dita sul tavolino mentre il computer caricava il sistema operativo. Appena ebbe a disposizione una shell, Simone lanciò Blitzkrieg, il suo programma di raccolta dati. Il treno non era ancora uscito dalla stazione e già Simone stava valutando i primi risultati. Da quella posizione, il suo laptop riusciva a vedere una dozzina di dispositivi radio Bluetooth. Alcuni dovevano essere telefoni, altri laptop.

Probabilmente, alcuni di essi si trovavano nelle carrozze adiacenti. In ogni caso, solo quattro o cinque di loro erano vulnerabili. Blitzkrieg, usando BlueDiving, BlueBugger ed altri programmi, era riuscito a penetrare in quattro di essi ed aveva già scaricato le loro rubriche. Lunghe liste di nomi e numeri apparentemente privi di senso che Blitzkrieg aveva scrupolosamente memorizzato in un apposito database MySQL.

Simone si assicurò che il download dei dati fosse terminato e lanciò Icebreaker, il suo programma di analisi. Icebreaker era rozzo, poco ottimizzato e dannatamente lento. Ci avrebbe messo un bel po' di tempo per confrontare tra loro i numeri appena raccolti e confrontare questi con quelli raccolti nei mesi precedenti. Poi Simone avrebbe dovuto analizzare il complesso grafo che ne risultava per capire chi, tra le centinaia di persone coinvolte in tutte quelle reti di relazioni sociali, poteva essere la persona giusta. Simone aveva già raccolto molte informazioni e sapeva di essere ad un passo dalla soluzione del suo puzzle. Gli serviva solo un po' di fortuna.

Mentre Icebreaker, lentamente ed instancabilmente, macinava i suoi confronti, Simone decise di dedicarsi ad altro. Inserì la chiave USB nella slot e si collegò ad Internet via UMTS. Subito dopo, lanciò Eskimo, il suo programma di accoglienza. Eskimo emise un segnale in broadcast e pubblicizzò a tutti gli altri passeggeri del treno l'esistenza di una fantomatica "Rete Wi-Fi Libera di Trenitalia".

Dieci minuti dopo, ben nove passeggeri avevano accolto l'invito e si erano collegati al suo Access Point virtuale per cogliere quella ghiotta occasione. Nessuno di loro aveva capito cosa stava realmente succedendo. Non c'era nessuna rete Wi-Fi di Trenitalia ad accesso gratuito. Era solo il laptop di Simone, attivo in modalità "point-to-point" che accettava le loro connessioni radio. Le accettava e le redirigeva sulla sua connessione UMTS, in modo che gli utenti potessero navigare e non si rendessero conto di nulla. Nel frattempo, tutto il traffico che questi utenti producevano, e che attraversava il laptop di Simone, veniva analizzato da un apposito programma. In meno di venti minuti, Simone aveva già raccolto un centinaio di Mb di posta elettronica, di documenti ed una decina di coppie username/password usate per accedere ai servizi più disparati, tra cui una coppia usata per accedere ad un conto corrente bancario online. Una persona meno accorta di Simone avrebbe usato quelle credenziali per procurarsi i soldi ma Simone non era così ingenuo. Non avrebbe mai commesso un furto del genere, correndo il rischio di scatenare una caccia al pirata informatico. No, i soldi non li voleva rubare. I soldi gli dovevano essere consegnati da una persona che agiva di sua iniziativa, ben consapevole di cosa stava facendo.

Tra il materiale raccolto c'erano anche molte foto di una ragazza. Una biondina dall'aspetto molto femminile, probabilmente sui ventidue anni. Era completamente nuda, china sul ventre di un uomo di cui si scorgevano solo le gambe. Incuriosito, Simone controllò l'identità del PC di provenienza e gli altri materiali che aveva ricevuto da esso. Da alcuni messaggi di posta elettronica e dai nominativi della rubrica riuscì a capire che si trattava del Professor Camillo Di Gregori, ordinario di Medicina Interna a Milano. La ragazza doveva essere quella certa Katia con cui l'anziano professore aveva scambiato messaggini nei giorni precedenti. Katia Romaldi. Dai dati reperibili sul sito studentesco dell'università, si deduceva che era di Pavia e che aveva 23 anni. Simone, scosse la testa. Quel professore poteva certamente essere il suo cliente ma ancora non era contento. Una storia di sesso può interessare i giornali ma al massimo può produrre un divorzio. Ci voleva qualcosa di meglio.

Simone tornò ad Icebreaker e finalmente trovò quello che cercava. Nei mesi precedenti aveva raccolto molti documenti e molti messaggi SMS che, nell'insieme, dipingevano un ritratto decisamente succoso. Doveva trattarsi di un alto funzionario della ASL di Milano che aveva accettato mazzette per coprire il solito squallido traffico di servizi fatturati ma mai forniti. Dai documenti si poteva dedurre che si trattava di un giro di affari da alcuni milioni di euro l'anno e che portava nelle tasche del funzionario delle grosse cifre, ovviamente esentasse. Il problema era che Simone non era ancora riuscito a capire chi fosse questa persona. Una mole di informazioni come quella era inutile senza un nome da contattare. Ma questa volta Simone aveva avuto fortuna.

Nella rubrica indirizzi di questa misteriosa persona c'erano alcune centinaia di nomi e di numeri di telefono. Quella sera, su quel treno, una di quelle persone era salita a bordo. Si trattava di un oscuro impiegato di nessuna importanza ma nelle sue tasche c'era uno dei cellulari elencati nella rubrica del misterioso funzionario. Il cellulare era dotato di interfaccia Bluetooth e Simone era riuscito a scaricarne la rubrica, gli SMS e gli altri dati. Icebreaker ci aveva messo venti minuti ad analizzare e confrontare i dati disponibili ma alla fine gli aveva dato il nome che cercava: Dottor Professor Roberto Pogo. Lo si poteva dedurre dal confronto delle due copie dello stesso messaggio SMS sui due telefoni. Mittente e destinatario mettevano in collegamento i due uomini senza alcun dubbio. Simone fece una visita al sito della ASL e riuscì a stabilire che il Professor Roberto Pogo era il responsabile del settore logistica e approvvigionamenti. Un anziano e potente manager. Proprio quello che gli serviva.

Simone sorrise tra sé. Prese uno dei documenti più compromettenti della sua raccolta, lo associò ad un breve messaggio e lo inviò al Professor Pogo passando attraverso una rete di mixmaster. Non sarebbero riusciti a risalire a lui neanche mettendo a soqquadro l'intera Internet. Qualche minuto dopo, un anziano signore in abito blu, seduto poche file più avanti, scattò in piedi e si guardò attorno. Simone fece finta di niente. Anche se il professore aveva capito cosa era successo, ormai era tardi. Quell'uomo gli avrebbe dato i soldi che gli servivano per il Giappone. E molti altri ancora. Non c'era più nulla che potesse fare.

Qualche amichevole consiglio
Se pensate che tutto questo sia fantascienza, vi consiglio di informarvi. Cominciate con la ricerca dei termini "bluetooth", "wi-fi" e "security" su Google. C'è molta documentazione anche in italiano.

Attivate la modalità nascosta dei vostri dispositivi Bluetooth (telefoni e laptop), oppure spegnete del tutto il servizio di connessione radio. Accendetelo solo quando ne avete bisogno.

Non collegatevi a nessuna rete Wi-Fi "pubblica" senza aver prima controllato che si tratti di un vero Access Point, non di un laptop che accetta connessioni in modo "point-to-point".

In generale, fate l'uso più ampio possibile di tecniche crittografiche per proteggere i vostri dati, i vostri messaggi ed i vostri canali di comunicazione.

Alessandro Bottoni

Tutti gli interventi di A.B. su Punto Informatico sono disponibili a questo indirizzo

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Ottimismo

Due rapide parole sull'ottimismo.
Ho visto in TV il nostro premier dire, in un qualche meeting di categoria, che il successo o meno delle manovre di contrasto della crisi finanziaria possono aver successo solo se la gente comune non si fa spaventare e non smette di consumare.
Ha aggiunto una frase come (cito a memoria): "lo ripeto sempre ai miei colleghi premier, non ho mai visto un pessimista vincere una battaglia. Occorre essere ottimisti".
Bene.
Non penso che il nostro premier sia un cretino integrale. In fondo è uno che ha costruito un impero finanziario. Magari ha avuto qualche aiuto poco corretto, ma indubbiamente non gli sarebbe bastato a diventare quel che è, se non ci fosse stata anche una grande capacità personale.
Penso però che ci sia qualche aspetto inquietante nei suoi processi cognitivi.
Banalmente, una qualche incapacità a capire la realtà altrui e a distinguere la realtà dai sogni.
Non basta l'ottimismo a convincere una famiglia di disoccupati ad acquistare un TV al plasma.
Con tutto l'ottimismo di questo mondo, prima devono riuscire ad acquistare la pasta, il latte, le patate e le uova. Non molto di più.
Per il dentista se ne parla il mese prossimo, o l'altro.
Ci sono famiglie in cui padre, madre e un figlio (o due) lavorano nella stessa azienda, che li mette tutti in cassa integrazione a zero ore.
Ci sono coppie di giovani sposini, entrambi precari, che lavorano un mese si e due mesi no.
Le industrie prima di tutto si liberano dei precari, e poi mettono in cassa integrazione i dipendenti.
Ottimismo?
Ci sono intere zone del nostro paese che vivono su poche grandi industrie. QUando chiudono queste, interi paesi restano senza reddito.
D'altra parte l'Italia non è un paese sigillato a tenuta stagna.
Buona parte del lavoro italiano alimenta l'esportazione.
E se i paesi nostri clienti smettono di acquistare il made in Italy, ecco che la loro crisi diventa anche la nostra crisi. Ecco che chiuderanno (e stanno chiudendo) anche le aziende italiane che producono per l'esportazione. Altri lavoratori verranno licenziati, non rinnovati, messi in cassa integrazione. Tutti lavoratori che avranno molte difficoltà ad essere ottimisti. Pur con tutta la buona volontà.
Dice il premier (che ripeto, probabilmente non è imbecille) che i giornali controllati dalla sinistra velenosa stanno sabotando l'azione di governo diffondendo pessimismo invece che ottimismo.
Quel che non dice, il nostro amato premier, è come sia possibile essere ottimisti nel momento in cui indistintamente tutti gli operatori definiscono questa crisi come la peggiore mai vista.
Probabilmente lo sapremo presto, forse da una diretta di Rete 4.
Non certo da Europa 7.....

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25 novembre 2008

Successo senza qualità (dal Corriere)

http://www.corriere.it/cultura/08_novembre_25/successo_senza_qualita_3c828088-bac1-11dd-a4c5-00144f02aabc.shtml

Il viaggio di Luca Mastrantonio e Francesco Bonami negli inspiegabili
miracoli nazionali

*Il successo senza qualità nell'Italia irrazional-popolare*

Da Gramsci all'egemonia del mercato: Bocelli, Grillo e gli altri

di Ranieri Polese

Il nazional-popolare è morto e sepolto. La categoria gramsciana che ha
ispirato politica e cultura della sinistra (del Pci, prima di tutto)
per oltre mezzo secolo, oggi non vale più. Si proponeva, Gramsci, di
realizzare un'alleanza tra ceti intellettuali e masse lavoratrici, per
la conquista, prima ancora che del potere, dell'egemonia. Oggi però
l'egemonia culturale — e il potere politico — sono in mano a
Berlusconi.

Il popolo cui pensava Gramsci non c'è più, lo Stato-nazione si è
dissolto. Tra spinte federaliste e frammentazioni in varie tribù (il
popolo del calcio, quello della tv, quello della musica ecc.) la
società italiana è totalmente trasformata. A conferma di quel decesso
avvenuto ecco i risultati della nuova sfida tv del sabato sera, con
Maria De Filippi che straccia Pippo Baudo, alfiere e testimonial del
nazional-popolare. Sì, perché Baudo e i suoi programmi (1987,
Fantastico) furono bollati dall'allora presidente Rai Enrico Manca con
l'epiteto «nazional-popolari», che Manca usava come un insulto.
Partiti da questa premessa, il giornalista Luca Mastrantonio (dirige
le pagine culturali del Riformista) e lo storico e critico d'arte
Francesco Bonami (è stato direttore della Biennale 2003) si sono messi
a studiare l'Italia di oggi, in cerca di una nuova categoria in grado
di farci capire il paese com'è.

Nasce così il saggio (Einaudi, 287 pagine, 17,50) che ha per titolo
una parola-manifesto, Irrazionalpopolare. Già, ma che vuol dire?
Raccontano i due autori che hanno cominciato esaminando persone,
fatti, fenomeni di grande successo, la cui fortuna però è
inspiegabile, non giustificata, irrazionale. Per esempio Bocelli,
cantante senza grandi doti canore né di interpretazione, che però è
una celebrità nazionale e mondiale. Infatti, il criterio
dell'irrazionalpopolare è questo: «è bello perché piace agli altri».
Non ci sono più valori assoluti, la critica che un tempo li
certificava è morta, l'unico parametro è quello del mercato. Non c'è
più, del resto, nemmeno l'alto e il basso. In questa forma derivata e
deviata della società dello spettacolo che è l'Italia di ora, è il
momento dei supermediocri, una grande famiglia in cui Bonami e
Mastrantonio includono praticamente tutti: Simona Ventura, il Benigni
dantesco, Moccia, Fabrizio Corona, Pavarotti, Lele Mora, Beppe Grillo,
Baricco (che accusa la critica di non essersi occupata di un suo
libro, ma è lui che non l'ha letta). Quando e come è iniziato tutto
questo? Nel libro si assume come data l'11 settembre. In realtà, per
l'Italia, la mutazione è cominciata prima. Tra l'89 (la fine della
Guerra fredda) e la discesa in campo di Berlusconi passando attraverso
Tangentopoli.

Che poi sono gli anni del trionfo della televisione modello Drive in,
dei talk-show dove quello che conta è esserci perché chi c'è
«dev'essere importante», dell'impero dell'Auditel. In questi anni i
politici si mettono a fare intrattenimento (D'Alema è ospite di Gianni
Morandi, Fassino va da Maria De Filippi) mentre i comici fanno
politica. Solo che i comici (Grillo e lo stesso Ricci) diventano
permalosi e senza ironia peggio dei politici. Il connubio satira e
politica di sinistra, iniziato con Benigni che prende in braccio
Berlinguer, finisce — male — quando, alla festa dell'Udeur, Roberto si
fa prendere in braccio da Mastella. Nella progressiva scomparsa della
politica, quello che conta è il supporto: le reti Mediaset per
Berlusconi, le figurine Panini con l'Unità e poi le feste romane per
Veltroni. Ma siccome la politica si fa con le ricerche di mercato, è
naturale che il Cavaliere abbia la meglio. Parallelamente, abbiamo
assistito alla cultura alta che per sopravvivere si fa bassa: è il
caso di Pavarotti & Friends, con il supertenore che canticchia —
malissimo — brani rock e pop. Così Benigni: il suo TuttoDante non
innalza l'attualità al livello dell'Alighieri (come fece Carmelo Bene
a Bologna), ma abbassa la Commedia all'attualità, intercalando battute
sui politici.

Accanto a queste figure colpite da inspiegabile successo, ecco un
panorama di cose e fatti che Bonami e Mastrantonio esaminano con
dovuta perplessità: l'illogica diffusione dei Suv così come le
affollatissime mostre di Impressionisti; il culto di Padre Pio
(l'esumazione del corpo e la maschera di cera ecc.) e la mancata
visita di Ratzinger alla Sapienza di Roma (se i fisici dell'università
contestano il papa nel nome di Galileo, per cui peraltro la Chiesa
aveva già chiesto scusa, il pontefice si è comportato come Nanni
Moretti che si chiedeva: mi si nota di più se vado o se non vado?); i
centri commerciali e il Billionaire. Non compare mai, nel libro, la
parola mito: un bene, visto l'abuso che se ne è fatto (ricordate gli
883, Sei un mito?). Ma c'è anche un perché. «Non ci sono più divinità,
quello di cui parliamo sono involucri vuoti. I miti sono misteriosi,
nessuno sa mai se esistono davvero. Da noi tutto esiste anche troppo e
non c'è più nessuna forma di mistero, la gente si diverte a dividere
con la massa anche i dettagli più insignificanti e privati della
propria esistenza».

E a proposito di involucri vuoti, non è un caso se una delle
trasmissioni più seguite sia quella dei pacchi. Fra i tanti personaggi
che popolano questa terra desolata, sono pochissimi quelli che si
salvano. Marco Paolini (il vero teatro civile), Fiorello (l'uso
creativo di un vecchio mezzo come la radio) e l'artista Maurizio
Cattelan. Che ogni volta riesce a sorprendere e turbare, come nel caso
dei bambini-pupazzi appesi a un albero a Milano. La polemica che seguì
— i bambini furono rimossi — ha avuto il pregio di mostrare la
schizofrenia della società irrazionalpopolare: in tv si guarda senza
batter ciglio la guerra e altre atrocità vere, ma di fronte al
carattere simbolico dei pupazzi impiccati la gente ha paura. Categoria
estetico-culturale, dato antropologico, l'irrazionalpopolare non ha
nulla di moralisteggiante. Sottintende invece un giudizio politico,
crudele ma non vano. Alla domanda se vede maggiore vitalità a destra o
a sinistra, Bonami risponde così: «Vitalità da nessuna parte.
Cialtroneria vivace a destra, stanca presunzione senile a sinistra
anche nelle frange più giovani. La sinistra è come la nobiltà, crede
nella divinità del proprio stato. La destra è come un mancino
obbligato a scrivere con la mano destra. E l'Italia è come un vecchio
re cieco che detta la propria storia a un mancino monco al quale è
rimasta solo la mano destra con cui scrivere. Chi leggerà la storia
non capirà più nulla». Viviamo in una sorta di agonia, dice
Mastrantonio; ma «l'agonia ha anche momenti di euforia. La cultura di
sinistra, morta e trapassata, è in pieno rigor mortis. Meglio allora
l'agonia».

25 novembre 2008

12 novembre 2008

L'ambulanza

Parlavo proprio oggi, con un amico, del PD e dei tanti errori che commettono i suoi dirigenti, e delle lotte interne, e della mancata opposizione, e di quanto vorremmo un vero partito di centro sinistra, una vera alternativa.
Io mi sono esibito nel solito numero de "non ci sono valide alternative".
Lui ha replicato (mossa standard numero 15) dicendo che ne ha le palle piene di chi gli propone una soluzione inaccettabile con la scusa che altrimenti è peggio.
Certo.
Allora, prevedibilmente, ho fatto ricorso ad una metafora.
Hai avuto un incidente stradale. Sei per terra, in mezzo all'incrocio, piuttosto malconcio, ma ancora cosciente.
Vedi arrivare un'ambulanza decrepita, guidata da uno che ti pare bollito.
Dici "NO! Io su quella ambulanza non ci salgo. Secondo me si guasta dopo 100 metri, e poi avete visto chi la guida? Quello non sa neanche dov'è l'ospedale!".
Perfetto.
Il vero problema è che non ci sono altre ambulanze.
Anzi, no. Ce n'è una. Sembra lucida e splendente. In realtà è fatta di cartone, e la guida il dottor Mengele.
A te la scelta.
Prevedibilmente Marloc (il mio amico) ha risposto: "Si, vabbene. Ma il vero problema è che l'ambulanza la vogliono guidare sempre loro. E se mi avvicino dicendo 'guido io' mi fanno cenno di no con la manina. E se mi avvicino dicendo 'beh, posso almeno cambiare le gomme, pulire il filtro, riparare le lampadine bruciate' mi dicono 'no, ci pensiamo noi' . In questo modo l'ambulanza è destinata ad essere una fetenzia poco adatta allo scopo".
Discorso sensato, a prima vista.
Peccato che la realtà sia un'altra.
La realtà è che, per uscir di metafora, gente come D'Alema e Veltroni, che non brillano per lucidità ed intuito politici, per capacità organizzativa, per carisma, vengono sempre lasciati soli a dirigere la baracca.
Nel senso che l'unico modo per salire sull'ambulanza, per ripararla, per renderla efficiente, è quella di partecipare in massa alla vita politica.
Se ci fosse, nel PD, un'invasione di milioni, di miliardi di giovani che dicessero: "Sai cosa? Adesso ci siamo noi, e voi potete andare a riposo!", la cosa cambierebbe.
Se i giovani, invece di tenersi lontani dalla politica, come se davvero fosse una cosa sporca, decidessero di partecipare IN TANTI, fino ad occupare FISICAMENTE gli spazi della politica, allora si che le cose cambierebbero!
Se invece di stare FUORI, i giovani ENTRASSERO nei palazzi della politica, e gentilmente accompagnassero all'uscita tutti coloro che non hanno saputo fare un'opposizione come dio comanda, tutti coloro che in qualche modo hanno scheletri nell'armadio, precessi pendenti o passati, collusioni con poteri poco amici del popolo, migliaia di nomine in inesistenti consigli di amministrazione...
Me li vedo, centinaia di giovani, presentarsi nei teatri, nelle piazze, dove si esibiscono le vecchie cariatidi del PD. E occupare fisicamente questi luoghi. Con dolce determinazione.
Ma se invece i giovani guardano da fuori, schifati, dicendo "è tutto marcio", beh, vuol dire che decidono di lasciare il loro futuro nelle mani di noi 50enni, 60enni, 70enni. Che abbiamo mille incrostazioni, mille interessi laterali, poca energia per innovare.
Mi verrebbe da dire "peggio per loro". Ma mi dispiace. Davvero tanto.

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11 novembre 2008

MA CHEPPALLE!

"Ma ancora???? Ma davvero siamo ancora qui a parlare di mafia, di Mangano, di Dell'Utri, di Berlusconi? Non lo capite che la gente l'ha votato, segno che non gli frega niente di tutte queste cazzate, degne solo di Di Pietro e Travaglio!".

Si. Ancora.
Ancora, perchè la legalità è la base. Senza legalità è inutile tutto il resto.
Il rispetto della legalità vuol dire che io mi fido di te, tu ti fidi di me, perchè entrambi rispettiamo un codice condiviso. Perchè ci sono delle regole, e le rispettiamo entrambi, anche se magari abbiamo interessi contrastanti.
Le regole a questo servono, no? A "regolare" gli interessi contrastanti. Altrimenti non servirebbero.
Se andassimo tutti nella stessa direzione non servirebbero i semafori.
Invece capita ogni giorno che il mio interesse sia diverso dal tuo. E per non risolvere la cosa alla vecchia maniera, con una bastonata in testa o un coltello di selce nel costato, ci siamo inventati le regole.
Le regole, la legge, sono alla base di tutta la nostra vita organizzata.
Ma se iniziamo a dire che il rispetto delle regole è un optional, cade tutto il castello di carte, non resta in piedi niente, niente.
E allora, si, parliamo ancora di regole e di chi le ha violate. Di chi le viola ogni giorno. Di chi, dopo averle violate, le cambia. Di chi si ritiene al di sopra delle regole. Di chi dice "vabbè, dai, per questa volta facciamo che abbiamo scherzato" e condona tutto il condonabile, dalle costruzioni abusive alle evasioni fiscali.
Parliamo di chi ha amicizie pericolose, molto, troppo vicine a chi le regole le viola ogni giorno, oserei dire "per statuto".
Parliamo, banalmente, di Berlusconi, che è stato mille volte accusato di aver violato le regole. E che le ha cambiate in corsa, vanificando il lavoro di chi lo stava giudicando.
Sento spesso dire, a sinistra, che occorre smetterla con questo "antiberlusconismo" d'assalto, che non paga più, che non dobbiamo lasciarci trascinare da Di Pietro nelle sue lotte contro i mulini a vento.
Ma cosa vuol dire che "non paga più"? Allora il rispetto delle regole ci interessa solo se "paga"?
No, mi dispiace, questa cosa è inaccettabile.
Se il rispetto delle regone non è un valore primario, allora non gioco più. Perchè in qualsiasi gioco, ci vogliono regole certe. Chi sarebbe così sprovveduto da sedersi ad un tavolo di poker con gente che viola le regole, o che le cambia durante la partita?
Parliamo allora di Berlusconi (ma ancora??? si, ancora!) il cui braccio destro, Dell'Utri, è stato condannato per mafia. In primo grado, certo. Ma intanto.
Parliamo allora di Berlusconi (si, ancora!) il cui stalliere Mangano eccetera eccetera. Roba vecchia, dici? Certo! Peccato che proprio ieri (pochi mesi fa) Berlusconi abbia avuto l'ardire di definire Mangano "un eroe". Perchè aveva resitito alle "pressioni" della procura e non aveva accettato di incastrarlo (lui Berlusconi). Dando per scontato, ovviamente, che le "pressioni" della procura fossero indebite, tendenti a farlo accusare ingiustamente.
Ma se proprio non vogliamo parlare di Berlusconi e soci, perchè "non paga più", allora diamo un'occhiata in casa nostra, per chi la ritiene tale:
Parliamo, ad esempio, di Mirello Crisafulli deputato PD, eletto nel 2006 nelle liste dell'Ulivo, dopo che nel 2002 fu messo sotto inchiesta in seguito ad un filmato che lo ritraeva in un hotel di Pergusa durante il congresso provinciale della CGIL scuola, in compagnia del boss mafioso di Enna Raffaele Bevilaqua, già condannato per mafia e reduce dagli arresti domiciliari.
Parliamo di quelli che, come Vincenzo De Luca, si dimenticano di costituirsi parte civile contro
chi ha piazzato mezzo chilo di tritolo tentando di far fuori un assessore
della loro giunta. Che dichiarano di "disprezzare profondamente i pentiti"
che svelano i mandanti del fallito attentato. Che vengono bersagliati da
avvisi di garanzia. E che continuano a nascondersi dietro la giunta per le
autorizzazioni a procedere
. De Luca, deputato DS, è indagato a Salerno per il piano regolatore e gli appalti della centrale termoelettrica. Il pm ne ha chiesto l'arresto per associazione per delinquere, truffa, minacce a pubblico ufficiale, ma il gip ha respinto la richiesta.
E gli esempi potrebbero continuare.
Ma, soprattutto, ricordo con orrore l'ovazione che tutto il parlamento, Rifondazione e IDV esclusi, ha riservato a Mastella quando, inferocito per le indagini su sua moglie, si lasciò andare ad una filippica contro la magistratura.
Abbiamo bisogno di LEGALITA', prima ancora che di POLITICA. Perchè senza il rispetto delle regole, non ci può essere fiducia reciproca.
E mi dispiace, molto, che gli unici a battere caparbiamente su questo tasto, siano un politico atipico (forse per questo?) come Di Pietro ed un giornalista (purtroppo) atipico come Travaglio.

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04 novembre 2008

Perchè gli americani votano di martedì?

Diciamo innanzi tutto che gli americani votano il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre.
Novembre è stato scelto perchè sono finite le operazioni di raccolta agricola, e non è ancora iniziato il gelo.
Il primo martedì dopo il primo lunedì è stato scelto per evitare il primo giorno del mese, spesso dedicato ai rendiconto mensili. E per evitare il primo di novembre, giorno di festa per i cattolici (ognissanti).
La scelta del martedì risale al 1845, quando la maggior parte degli americani erano contadini. Il viaggio di andata e ritorno al seggio elettorale richiedeva spesso tre giorni: andata, riposo del cavallo, ritorno. E non si voleva che le operazioni di voto andassero in conflitto con le funzioni religiose del weekend. Eliminare quindi i giorni di lunedì, giovedì e venerdi. Il mercoledì è giorno di mercato, resta quindi il voto di martedì.

Ulteriori dettagli, per chi capisce l'inglese, nei link qui sotto:

http://www.thedenverchannel.com/politics/10255320/detail.html

http://usgovinfo.about.com/od/thepoliticalsystem/a/whenwevote.htm

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28 ottobre 2008

Che mal di pancia - 2

(Dal blog "Stampa Rassegnata")

http://stamparassegnata.splinder.com/post/18836257

sabato, 25 ottobre 2008

*Scuola pubblica, i figli del Pd (ci) marciano*

Pd sul piede di guerra. C'è il pericolo concreto che la destra
gelminiana smantelli la scuola pubblica. Si mobilitano anche i figli
dei leader. Quella della Giovannina Melandri, per esempio, che
frequenta l'istituto gestito dalle suore, Santa Maria del Carmine e
San Giuseppe al Casaletto. Ma anche il figlio di Francesco Rutelli,
che è iscritto al San Giuseppe de Merode, scuola cattolica vicino a
piazza di Spagna. Il primogenito rutelliano ha invece già finito di
frequentare l'istituto gesuita Massimiliamo Massimo. Sul piede di
guerra anche le due figlie di Anna Finocchiaro, che frequentano un
istituto privato di Catania. Pure Michele Santoro è incazzato. E con
lui i sui figli che studiano al liceo francese privato Chateaubriand,
a Roma. (notizie tratte dal Riformista).
Tutti in piazza, con suore e preti a difendere la dignità della scuola
pubblica contro il pericolo della privatizzazione e di una scuola solo
per ricchi.

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Mal di pancia

A me a vedere queste cose mi viene il mal di pancia


Mi pare che la foto non lasci alcun dubbio sulla attività "musicale" in corso :-(
Mi par di sentire le voci che dicono "Dato che gli altri lo fanno regolarmente, non possiamo permetterci di restare indietro quando c'è la possibilità di fare andare sotto la maggioranza".
E se ti permetti di obiettare che non è una cosa regolare, ti guardano con aria di compatimento.
Così come succedeva, qualche anno fa, con le liste civetta. Tutti dissero che era una porcata, anche "NOI". Ma poi anche "NOI" finimmo per utilizzarle, per non lasciare agli altri un indebito vantaggio.
E così va a fare in culo la legalità e il rispetto degli elettori. O, quanto meno, di quella parte degli elettori che vorrebbero poter avere fiducia negli eletti.
Anche se oggi, più che di eletti, bisognerebbe parlare di "designati".
Che mal di pancia.

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